IL PENSIERO DI UGO LA MALFA

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    UGO LA MALFA E LA SINISTRA
    Inviato da Redazione1 il Mar, 04/26/2011 - 21:57


    PCI sinistra democratica Ugo La Malfa

    Io e il comunismo

    di Ugo La Malfa


    la_malfa


    L’ archivio storico di “la Stampa” aiuta a reperire documenti di grande interesse, questo è la traduzione di un articolo di Ugo La Malfa apparso su “foreign affair” prestigiosa rivista statunitense e tradotto per la gran parte da la stampa . Purtroppo è stata sunteggiata la parte sugli anni del centro sinistra , Rimane però nella indimenticabile prosa di Ugo La Malfa tutto il periodo del fascismo e del primo dopo guerra in cui viene limpidamente spiegato il perché della fiera opposizione al partito comunista e la parte finale in cui ULM illustra le ragioni per cui crede nell’ evoluzione del PCI, per l’ abbandono del mito della dittatura del proletariato, per l’ accettazione della NATO , per l’ abbandono dell’ obbiettivo dell’ economia collettivizzata.

    Ugo La Malfa, scrive nel marzo 1978 un anno quasi esatto prima della sua scomparsa

    Il problema dell'esistenza in Italia di un forte Partito comunista ha rappresentato la mia costante preoccupazione in una battaglia democratica che mi impegna da oltre 50 anni (sono nato in Sicilia nel 1903) e mi ha visto passare dall'antifascismo clandestino, alla resistenza e alla vita democratica libera. Quando nel 1925, giovanissimo, aderii ad un partito democratico (Unione democratica nazionale) creato da una personalità politica e morale di eccezionale rilievo, quale fu Giovanni Amendola, vi trovai a militare, più anziani di me, Mario Berlinguer, padre dell'attuale segretario politico del Partito comunista italiano, Silvio Trentin, mio vecchio professore e padre di uno dei più intelligenti e combattivi esponenti del sindacalismo comunista. Giovanni Amendola pochi mesi dopo fu bastonato a morte dai fascisti ed al suo capezzale io mi trovai accanto al figlio Giorgio che seguiva la politica del padre. Nel 1930, in piena reazione fascista e con all'orizzonte la terribile comparsa della dittatura nazista, Giorgio Amendola abbandonò la causa democratica e continuò la lotta clandestina nel partito comunista. Fra molti giovani che avevo conosciuto fra il 1925 ed il 1930, e che con me avevano iniziato la resistenza clandestina contro il fascismo, rimasi quasi solo con pochissimi altri: la maggior parte preferì continuare la lotta sotto la bandiera del partito comunista. Mi sono domandato spesso perché giovani di grande intelletto e di sicuro impegno morale avessero perduto fede intorno agli Anni Trenta nella causa democratica e avessero scelto la milizia nel partito comunista: mi sono domandato in particolare perché i figli di Giovanni Amendola, grande vittima democratica del fascismo, e i figli dei democratici Silvio Trentin e Mario Berlinguer fossero diventati comunisti. La spiegazione che mi do è che, intorno agli Anni Trenta ed oltre, pareva che il mondo occidentale tutto, sull'esempio dell'Italia e della Germania, dovesse cedere al fascismo. La guerra civile di Spagna che vide la debolezza delle democrazie occidentali ed il trionfo del franchismo, l'incredibile cedimento degli statisti democratici di fronte a Hitler a Monaco dovevano avere consolidato questa opinione. In Occidente, c'era una democrazia che cedeva e cadeva sotto i colpi del nazifascismo, in Oriente, invece, vi era un campione della lotta antifascista, la Russia sovietica ed il potente partito comunista che la guidava e che radunava sotto le sue bandiere i comunisti di tutto il mondo. Checché si pensi di questa mia personale valutazione sul come si sono formati alcuni quadri dirigenti comunisti, è avvenuto che l'Italia democratica, al momento della sua liberazione, si trovasse a dovere fare i conti con un forte Partito comunista, strettamente legato alla ideologia e alla politica dell'Unione Sovietica. Ho da allora sempre pensato che una democrazia che ha nel suo seno un forte partito comunista è una democrazia debole, in certo senso una democrazia zoppa. E tale è stata, in effetti, l'Italia dal 1945 in poi. Appartengo ad una forza democratica di minoranza, il pri, che ha grandi tradizioni democratiche e risorgimentali, la cui ispirazione discende direttamente da alcuni grandi del Risorgimento italiano, come Giuseppe Mazzini e Carlo Cattaneo. E appartengo a tale partito, dopo aver militato, durante la Resistenza e subito dopo, in un partito di lotta, anch'esso di ispirazione democratica, quale fu il Partito d'Azione. E proprio perché di fede democratica e risorgimentale, ho pensato, fin dall'indomani della liberazione, che fosse necessario costituire una barriera contro il Partito comunista, in quanto partito ideologicamente e politicamente legato all'Unione Sovietica, a una potenza cioè ed a un partito che, a mio giudizio, erano la negazione dei valori di libertà, di democrazia, di ordinato sviluppo civile, economico e sociale, ai quali il mio partito, con altri partiti, erano legati. Nel 1945, nell'anno della liberazione dell'Italia, i governi erano costituiti da rappresentanti di tutti i partiti che avevano partecipato alla lotta e alla resistenza contro il nazifascismo, e quindi anche da rappresentanti del Partito comunista italiano. Il Partito socialista, che aveva una tradizione democratica luminosa anche se di fondamento ideologico marxista, era allora vincolato ad un patto di unità d'azione con i comunisti. Preoccupato da tale legame, partì da me la proposta di un'alleanza fra forze repubblicane laiche e forze socialiste, che da una parte isolasse il Partilo comunista e dall'altra fronteggiasse, con adeguato peso politico ed elettorale, la Democrazia cristiana, partito dei cattolici, che già in quell'anno mostrava la sua forza crescente. La proposta fu respinta dal Partito socialista, e di conseguenza le forze democratiche laiche e la forza socialdemocratica che si era staccata dal Partito socialista (Saragat), per difendere tutti i valori dell'Occidente, non ebbero altra scelta che di costituire maggioranze e governi con la Democrazia cristiana e offrire un fronte di resistenza abbastanza consistente alla pressione tenace, continua del Partito comunista e del suo alleato, il Partilo socialista italiano. Ciò avvenne a partire dal 1947, quando uscirono dal governo il Partito comunista e il Partito socialista e si costituirono le maggioranze democratiche di centro che, da quell'anno al 1953, legarono saldamente l'Italia all'Occidente e all'Europa, sia per quel che riguarda il quadro interno, nel duplice aspetto di politica istituzionale e di politica economica e sociale, sia per quanto riguarda il quadro internazionale, con l'adesione all'Alleanza Atlantica e alla prima costruzione europea. Ricordo, per dare un'immagine plastica della situazione di allora, che nel secondo semestre del 1948 fui nominato capo della delegazione che doveva trattare con i dirigenti dell'Urss le questioni del trattato di pace. In quattro mesi di soggiorno a Mosca conclusi quelle trattative, ma ebbi così forte impressione del carattere militare e autoritario dell'Unione Sovietica che, nella primavera del 1949, quando la Camera dei deputati discusse dell'adesione dell'Italia al Patto Atlantico, citai quell'esperienza personalmente vissuta come testimonianza e prova dell'importanza vitale che aveva per l'Italia l'adesione al Patto Atlantico. Alla partecipazione a quel patto si opposero tenacemente, con una dura azione ostruzionistica, il Partito comunista ed il Partito socialista di Nenni, uniti nella stessa battaglia. (Dopo avere descritto l'esperienza del centrosinistra e il suo logorarsi, per gli errori «di una politica sindacale irrazionale e sbagliata», per il «malgoverno» della dc, per «il massimalismo ideologico e il populismo» del pci, e per il contributo, all'uno e all'altro, del psi. La Malfa giunge all'attuale situazione politica, inquadrata nella «disgregazione completa» del sistema economico-sociale e dell'ordine pubblico). Agli inizi del 1976, il Partito socialista italiano faceva cadere il governo Moro-La Malfa, costituito da esponenti della Democrazia cristiana condusse tito repubblicano, il che, dopo un breve governo della sola Democrazia cristiana, doveva portare alle elezioni anticipale del 20 giugno 1976. Con quelle elezioni, che la Democrazia cristiana condusse all'insegna di una forte invincibile opposizione al Partito comunista, si ebbe la seguente ripartizione dei seggi alla Came ra dei deputati: la dc 263, il pci 228, il psi 57, il psdi 15, il pri 14. La maggioranza necessaria avrebbe dovuto essere di 316 seggi. Come si rileva dalle cifre, era ancora possibile costituire una maggioranza di centro-sinistra con l'apporto della Democrazia cristiana, del Partito socialista, del Partito repubblicano e del Partito socialdemocratico (349 seggi, contro i 228 seggi del Partito comunista). Ma poiché il Partito socialista dichiarava formalmente che non avrebbe partecipato a maggioranze o a governi senza la contemporanea partecipazione del Partilo comunista, si dovette costatare il definitivo tramonto della coalizione di centro-sinistra. Il Partito comunista italiano usciva dalla sua condizione trentennale di partito dell'opposizione e, sia pure attraverso la fase, del tutto anomala, delle astensioni dal voto, entrava nel gioco politico che solo le forze tradizionalmente democratiche avevano condotto dal 1945 in poi. Il governo monocolore Andreotti, che è durato ben diciotto mesi, si potè costituire con i voli di fiducia della Democrazia cristiana, ma con il voto di astensione degli altri partiti democratici e del Partito comunista. Ma cosa era il Partilo comunista quando, dando un voto di astensione al governo dell'on. Andreotti, abbandonava la posizione di opposizione estrema ed entrava nell'ambito delle forze che direttamente o indirettamente, col voto favorevole o con l'astensione, avrebbero assicuralo la vita di un governo? Era il partilo di orientamento marxista-leninista, di completa adesione al dogmatismo sovietico, che avevamo conosciuto all'indomani della liberazione e dopo, o era un partito diverso, che era andato faticosamente rivedendo la sua vecchia ideologia e andava lentamente accostandosi ai partili di tradizione democratica? Nel primo caso, essendo sorto il governo Andreotti con il voto di astensione del Partito comunista, si sarebbe apportato il primo durissimo colpo al sistema democratico, nel quale l'Italia era vissuta per oltre tre decenni; nel secondo caso, in una situazione grave come quella italiana, si sarebbe potuto contare su un nuovo apporto al sistema democratico, proprio quando esso rischiava di entrare in una crisi quasi mortale. E' su questo contrasto di giudizi sul Partilo comunista italiano e sul cosiddetto eurocomunismo che la discussione si è fatta sempre più viva e drammatica in Italia e, di riflesso, nelle più diverse sedi internazionali. La mia opinione, del resto condivisa dalla massima parte del mio partito e da altre correnti politiche, è che il Partito comunista non è più quello che era stato durante il fascismo, la Resistenza e i primi decenni di vita repubblicana. I fatti nuovi, ai quali io credo si debba dare importanza, sono i seguenti: 1) da alcuni anni in qua, il Partilo comunista italiano, sia all'interno che in diverse sedi internazionali, ha formalmente e reiteratamente dichiarato la sua volontà di rispettare i valori della democrazia, il pluralismo, l'alternanza delle forze al potere, rinunciando al suo impegno ideologico e di partito mirante alla dittatura del proletariato. Nel novembre 1977, a Mosca, alla celebrazione del sessantesimo anniversario della Rivoluzione d'Ottobre, dopo la dura riaffermazionc da parte di Breznev di tutti i principi del dogmatismo sovietico, Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista italiano, dichiarava, dandolo per scontato, che il suo partilo aveva fede nel valore storicamente universale della democrazia, nel carattere non ideologico dello Stato, nella possibilità dell'esistenza di diversi partili, e nel pluralismo della vita sociale, culturale e ideale. Nel dibattito seguito in Italia, ho dato rilievo a quelle affermazioni perché esse venivano fatte in un'occasione solenne e alla presenza dei delegati dei partiti comunisti del mondo intero. Ho pensato che quelle affermazioni sarebbero circolate, come acqua sotterranea, in quel mondo del dissenso che esiste nell'ambito del blocco degli Stati controllati dall'Unione Sovietica, dando il senso di una nuova eresia rispetto a quelle già esistenti (Jugoslavia, Cina); 2) su per giù nello stesso periodo di tempo, il Partito comunista italiano ha dichiarato la sua volontà di accettare l'Alleanza Atlantica, della quale l'Italia fa parte, e di volere contribuire con altre forze democratiche alla realizzazione dell'unità politica europea. In recenti dibattiti di politica internazionale alla Camera dei deputati e al Senato della Repubblica italiana, il Partito comunista ha sottoscritto, insieme alle altre forze democratiche, ordini del giorno che riaffermano le lince tradizionali della politica internazionale dell'Italia, con particolare riguardo alla fedeltà all'Alleanza Atlantica, alla Nato e alla Comunità economica europea. I diffidenti dicono che il Partilo comunista italiano accetta in partenza il quadro della politica internazionale dell'Italia, salvo, in un secondo tempo, tentare di modificarlo o addirittura di rovesciarlo. Ma I quando il Partito socialista italiano entrò nella maggioranza e nei governi di centro-sinistra, esso sosteneva una piena neutralità dell'Italia ed era andato chiedendo l'uscita di essa dalla Nato. Il Partito socialista non ha certo contribuito all'avanzamento economico e sociale dell'Italia, ma non ha scalfito per nulla, in tutti questi anni, la politica internazionale dell'Italia. D'altra parte, il Partito comunista italiano chiedendo di far parte della maggioranza o del governo, sa di essere in condizione minoritaria rispetto alle altre forze democratiche. Se, nel corso della sua collaborazione nella maggioranza o nel governo, dovesse tentare di rovesciare le linee della politica internazionale dell'Italia questo sarebbe un evidente e comprensibile motivo di rottura per l'opinione pubblica. Vi sono, nella politica di un partito e dei suoi esponenti, processi di revisione che si possono dichiarare, altri processi che non si possono confessare, ma operano anche più efficacemente; 3) il Partito comunista, in materia economica e sociale, si è allontanato negli ultimi tempi da impostazioni populistiche e demagogiche, da una fede nella collettivizzazione dei mezzi di produzione, e si è dichiarato disposto, nel quadro di una economia di carattere occidentale esistente in Italia, a contribuire, attraverso una politica rigorosa e severa, alla ripresa economica e sociale del Paese, al ristabilimento dell'ordine pubblico così gravemente compromesso in questi anni, a un consolidamento delle istituzioni democratiche.

    Pubblichiamo, nella versione originale italiana, il testo quasi integrale di un saggio di Ugo La Malfa, "Communism and Democracy in Italy" (Il comunismo e la democrazia in Italia), che uscirà nel numero di primavera dell'autorevole rivista politica americana "Foreign Affairs" LA STAMPA

    Pagina 15

    (21.03.1978) LaStampa - numero 64


    Democrazia pura su La Malfa e il PCI
    Inserito da Redazione1 il Lun, 09/23/2013 - 06:46.

    Gli amici di "Democrazia pura", bellissimo sito segnato dall' ispirazione Mazziniana sin nel titolo, propongono un' ampia e ricca documentazione sul saggio pubblicato da Ugo la Malfa nel 1978 su "Foreign affair" in merito all' evoluzione del PCI , con il testo originale e la traduzione completo ri8spetto a quella che abbiamo segnalato all' inizio di questa discussione .

    La documentazione e il commento di Democrazia pura ricostruisce il ruolo di ULM nei confronti dei circoli più influenti americani per agevolare il processo di allargamento della democrazia a sinistra che il leader repubblicani vide come necessario già con la crisi del centrismo nel 1953. E di qui infatti parte al dumentazione proposta da democrazia pura. Strategica la scelta del 1978, con il passaggio dall' amministrazione dei repubblicani USA a quella Carter , così come era stato strategico il rapporto con Arthur Schlesinger, collaboratore di Kennedy al momento del passaggio al centro sinistra.

    www.democraziapura.altervista.org/?page_id=4202

    www.democraziapura.altervista.org/?page_id=4212

    Edited by lucrezio52 - 1/1/2018, 13:36
     
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    EDERA ROSSA:conosciamo bene le radici della sinistra
    Inserito da Redazione1 il Gio, 04/28/2011 - 21:35.

    Bene cari amici, complimenti per la ricerca fatta e per il risultato ottenuto; queste cose noi le sapevamo da sempre , anche se molti sembrano essersele dimenticate, come si sono dimenticati che a quelle modifiche in campo comunista contribuì anche la sfida democratica che nei secondi anni sessanta era stata lanciata da Ugo La Malfa e da tutto il Pri di allora.
    E' forse il caso di ricordare che se il padre di Enrico Berlinguer era come ricordato un democratico amendoliano, il nonno , anche lui di nome Enrico, era un repubblicano mazziniano. Gira e rigira nell'album di famiglia della sinistra italiana un antenato repubblicano o comunque democratico-risorgimentale finisce molto spesso col venir fuori.
    E non sono solo storie private ( come, ad esempio, il nonno garibaldino di Ingrao), ma è un filo rosso, di pensiero e di azione, che lega il repubblicanesimo alle varie, successive, componenti della sinistra italiana.

    A. Di Serio: centro sinistra casa naturale dei repubblicani
    Inserito da Redazione1 il Sab, 04/30/2011 - 16:18.

    Un commento dell' amico "cittadino Archita di Serio"
    Giusto ricordare il nonno mazziniano di Enrico Berlinguer. Importanti sono stati i rapporti tra Ugo La Malfa e Giorgio Amendole. Da giovani studiavano alla Ca' Foscari di Venezia ed avevano due miniappartamenti: uno ufficiale dove spesso si... recava la polizia fascista senza mai trovarli ed un altro
    dove nell'anonimato abitavano realmente. Ugo La Malfa rimase amareggiato dalla scelta del suo fraterno amico Giorgio Amendola di aderire al PCI, tra l'altro Giorgio Amendola era il figlio del martire antifascista Giovanni della Unione democratica. Memorabili i dibattiti con lo stesso Amendola e con Igrao che l'editrice LA VOCE curò la pubblicazione. Il PRI era il partito della ragione, aclassista, fortemente europeista. Togliatti dette una definizionme abbastanza realistica del PRI: un piccolo partito di massa. Spero di tornare a vedere l'edera nel centro-sinistra, sua "casa" naturale
     
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    La Malfa ,Ingrao, Amendola Foa la sinistra e l'ora X
    Inserito da Redazione1 il Mar, 10/22/2013 - 21:03.

    Nel 1966 , mentre il centro sinistra mostrava le prime crepe ,e le lotte interne alla Dc faceva oscillare le prospettive di governo da una prospettive riformistica ad una di mera conservazione , Ugo La Malfa inizia una stagione di confronto con la sinistra di opposizione . è il periodo dei grandi dibattiti . Diceva il ledear Repubblicano . Il dialogo con il PCI non era "compito di un giorno o di un mese" ma presupponeva "un lungo dibattito che forse ci porterà lontano". Non era ancora incominciato il nuovo anno e il 13 dicembre 1965 al teatro Mariani di ravenna ci fu il dibattito con Pietro Ingrao . Moderato da Eugenia Scalfari , collegato via radio con la casa del popolo repubblicana e la camera del lavoro la camera del lavoro fu seguito da 7000 persone . Seguì il 27 aprile del 1966 il confronto al palazzo dei congressi di Roma con Amendola . il 28 maggio dello stesso anno a Firenze con vittorio Foa del PSIUP ,

    Il sito dei Repubblicani Democratici , (un interessante movimento fondato e guidato da Giuseppe Ossorio tra iol 2001 e il 2011 , finito poi nel cd congresso di unificazionedel PRI) riporta i documenti di quei tre incontro, facciamos seguire i passi più significativi , rinviando ai link per i testi completi

    CON PIETRO INGRAO

    :A stimolare il confronto era stata l'impostazione politica contenuta in alcuni documenti del Pci, e soprattutto nel «Progetto di tesi» redatto in vista del suo XI Congresso. La Malfa partì appunto, nel suo intervento iniziale, dall'assunzione della consapevolezza del Pci di dover operare in una società assai diversa da quella arretrata sulla quale aveva inciso la rivoluzione leninista. La sua tesi fu che - in presenza di una società occidentale economicamente e socialmente articolata, in presenza di libertà politiche e di pluralismo di partiti - la sinistra avrebbe dovuto operare sul presupposto del meccanismo di sviluppo in atto, da riformare e modernizzare attraverso una graduale e permanente politica di riforma, senza tentare di rovesciarlo e senza provocarne il blocco con politiche contraddittorie." La Malfa contestò non le critiche al modello sviluppo , ma la volontà comunista di aggredirlo senza gradualità "Questa nostra posizione di cautela deriva invece dal fatto che, quando il meccanismo di sviluppo (come ho detto nella premessa) viene colpito in troppi punti, la reazione che si determina ha conseguenze negative sull'occupazione operaia, sulla sorte della classe la-voratrice. La nostra preoccupazione, in sostanza, non è di proteggere un privilegio ma, guardando al funzionamento del meccanismo di sviluppo, di non provocare effetti negativi o disastrosi che poi si ripercuotono sulla classe lavoratrice che vogliamo proteggere.

    http://www.repubblicanidemocratici.it/opin...alfa_ingrao.htm

    CON GIORGIO AMENDOLA

    Ugo La Malfa in quell’occasione ribadì in sostanza come l’articolazione della società italiana potesse consentire, attraverso una politica di programmazione, cui partecipassero tutti gli attori del processo economico, un’azione riformista del meccanismo di sviluppo. Oggi quella politica viene indicata come concertazione fra le parti sociali.

    Quando la sinistra si trova a dover affrontare un meccanismo di sviluppo in atto, talmente avanzato d'avere già creato una società economica sviluppata e quindi notevolmente articolata (venga essa definita, dalla sinistra, capitalista o neocapitalista), essa ha due fondamentali problemi dinanzi a sé:

    quello che il meccanismo di sviluppo continui a garantire la piena occupazione, se già ci si trova, o raggiunga la piena occupazione, se il meccanismo di sviluppo non ne avesse consentito già la realizzazione;
    quello di modificare profondamente il meccanismo in atto attraverso le riforme di struttura. La sinistra deve affrontare ambedue le esigenze, proprio per adeguare il meccanismo di sviluppo ai bisogni ed alle esigenze delle forze sociali che rappresenta. In altri termini, la sinistra deve insieme, operando sul meccanismo di sviluppo, non ridurre l'occupazione ma anzi raggiungere la piena occupazione, pur modificando, attraverso le riforme, il meccanismo stesso. Si tratta di un compito apparentemente assai complesso, ma che, nella realtà dell'azione politica, è perfettamente conseguibile e deve essere conseguito.



    http://www.repubblicanidemocratici.it/opin...fa_amendola.htm

    CON VITTORIO FOA

    dibattito fu aperto dall'intervento di Foa che delineò le strade da battere per realizzare un sistema alternativo sia al modello capitalistico «puro» che a una sua versione «socialdemocratica». La questione di fondo risiedeva nello spostare gli interventi riformatori dai meccanismi di distribuzione del reddito al suo processo di formazione, alla scelta produttiva. Se infatti l'origine degli squilibri del sistema produttivo non poteva ascriversi alla distribuzione del reddito, non si sarebbe potuto porre rimedio a essi attraverso una politica redistributiva come la politica dei redditi. Quand'anche essa avesse prodotto effetti positivi, sarebbero stati meramente effimeri e di breve durata, in quanto non incidenti sulla fonte vera dello squilibrio sistemico del capitalismo. Da ciò discendeva che la lotta agli squilibri del sistema non poteva non essere una lotta contro il sistema stesso, una lotta anticapitalistica.



    La Malfa rilevò, in sostanza, che a una pars destruens articolata non faceva seguito nell'analisi di Foa una altrettanto efficace pars co struens; e contrappose l'efficacia degli strumenti correttivi da lui suggeriti all'assenza di indicazioni circa gli interventi da concentrare sul cuore del sistema produttivo. Rilevò che l'impostazione di fondo della tesi di Foa era figlia della concezione marxista secondo cui non è possibile correggere gli squilibri del sistema capitalistico in quanto essi crescono con la crescita del capitalismo. Notò che se si ammette l'esistenza di una crescita articolata non si può contestualmente affermare che siano cresciuti anche gli squilibri, pur rimanendone molti da sanare. Il problema della sinistra marxista era dunque quello di non riuscire ad accettare un 'azione riformatrice graduale, da svolgersi giorno per giorno, senza dover aspettare una fatidica «ora X».

    http://www.repubblicanidemocratici.it/opin...fa_amendola.htm



    I documenti di straordianrio interesse descrivono con ampiezza di contenuti il tentativo di La Malfa non certo di difendere il modello si sviluppo liberale, ma di correggerlo senza passare dalle utopie comuniste, inoltre fanno definitivamente giustizia di alcune teoria che descrivono La Malfa come egualmente antifascista ed anticomunista . Infine la frase che abbiamo riportato della sintesi dell' incotnro con Foa :Il problema della sinistra marxista era dunque quello di non riuscire ad accettare un 'azione riformatrice graduale, da svolgersi giorno per giorno, senza dover aspettare una fatidica «ora X» rivela tutta la sua attualità anche ora, la ricerca dell' ora X non contro il capitalismo , ma contro al casta , rinunciando ad un azione riformatrice graduale è forse la tragedia di questi giorni
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    1946 Il Partito Democratico di Ugo La Malfa
    Inserito da Redazione1 il Ven, 11/02/2012 - 18:30.

    Intervista a firma G.P. pubblicata sul “Progresso d’Italia” del settembre 1946

    Abbiamo avvicinato oggi l’onorevole Ugo La Malfa, che come è noto pochi giorni fa è entrato, con Parri, nel Partito repubblicano. E sulla ragione di questo passo abbiamo rivolta la nostra prima domanda.
    “Ritengo necessario – ci ha risposto La Malfa – che si crei un forte partito democratico in Italia. Ora il solo partito intorno a cui si può fare oggi una seria concentrazione democratica è il Partito repubblicano
    “La continua difficoltà di rapporti fra democristiani e socialcomunisti indica la funzione ed i compiti che un grande Partito repubblicano dovrebbe avere.”

    Perché ritiene che una seria concentrazione democratica può farsi solo intorno al Partito repubblicano?

    “Perché il Partito repubblicano ha una tradizione democratica tra le più salde esistenti nel paese; ha una struttura organizzata su basi popolari, assai rilevante in alcune regioni, una capacità di penetrazione fra i ceti rurali che altre formazioni democratiche non hanno. Insomma ha tutti gli elementi per divenire un grande partito di democrazia popolare.
    “Un partito che avrebbe potuto avere – ha soggiunto l’onorevole La Malfa – grande successo nel paese era il Partito d’azione, ma la sua novità, alcune premesse ideologiche, i logoramenti già subiti nella lotta di liberazione, gli hanno tolto slancio e possibilità di penetrazione.
    “Ma poiché le sue posizioni dal punto di vista delle istituzioni democratiche non si differenziano molto da quelle del Partito repubblicano, è bene che il tentativo democratico iniziato con il Partito d’azione si continui in seno al Partito repubblicano, portando a questo forze giovani uscite dalla lotta clandestina legandole a tradizioni di pensiero che risalgono al Risorgimento.”

    Quali sono i caratteri che lei riconosce nel Partito repubblicano in riferimento al programma economico-sociale?

    “Come partito di democrazia popolare, il Partito repubblicano non può non avere un carattere nettamente progressista. Riforme sociali di struttura interessano il Partito repubblicano come ogni altro partito di sinistra, ma credo che per il suo carattere non debba essere legato a riforme sociali da presupposti classisti.
    “Il Partito repubblicano deve fare proprie le riforme sociali che facciano effettivamente progredire il paese senza schematismi aprioristici. La democrazia è creazione continua di libertà e di benessere per la comunità nazionale. Di volta in volta il progresso delle classi popolari è specialmente assicurato attraverso la diffusione di istituzioni politiche e economiche che si improntino a principi di libertà, con il coordinamento necessario dell’intervento statale.”

    Ci permetta infine onorevole La Malfa un’ultima domanda: qual è il suo giudizio sulla crisi?

    “La crisi politica attuale è una parziale manifestazione dello stato di disagio in cui si trovano sia il paese che le correnti politiche. Siamo in una fase di sistemazione che sarà lunga e faticosa e che porterà via molto tempo. Non credo che la crisi avrà una totale soluzione e che si risolveranno tutti i problemi che la situazione pone. Forse a breve scadenza dovremo affrontar problemi di una gravità impensata. Il paese tuttavia non deve scoraggiarsi. La catastrofe è stata immane e non si possono da un giorno all’altro superare tutte le difficoltà. Occorre avere pazienza e chiarire a poco a poco i problemi che si pongono con la coscienza precisa della situazione nazionale.”

    Da Ugo La Malfa. Scritti 1925-1953, Mondadori, 1988
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    EDERA ROSSA: un ricordo su La Malfa e una riflessione sul PCI
    Inserito da Redazione1 il Mar, 05/10/2011 - 21:30.

    A proposito del ricordo che fa l'amico Archita di Serio del La Malfa cafoscarino, non posso dimenticare il bel discorso che egli tenne nell'aula di Ca' Dolfin in occasione del ventennale della liberazione; dopo che il rettore di allora, Italo Siciliano, lo salutò come lo studente che dopo essere uscito con 110 e lode nello studio vi ritornava con 110 e lode nella vita, Ugo La Malfa ricostruì un affresco della Venezia democratica che lo accolse quando era pericoloso anche circolare per una città in cui la violenza fascista rendeva quasi impossibile la militanza politica. Era la Venezia di Gino Luzzato e di Silvio Trentin a lui politicamente più vicini , ma anche di altri docenti che non chinarono il capo come Cesare Zappa . era la Venezia di Gavagnin e di un giovine repubblicano, come La Malfa di origini siciliane, che portava il nome di G.Battista Gianquino e che poi diventerà il sindaco comunista, di Venezia il sindaco galantuomo come sarà ricordarto anche dagli avversari, Ed era la città di altri repubblicani che il democraticoamendoliano Ugo La Malfa cominciò a conoscere ed ad apprezzare, Un piccolo gruppo di gente dalla schiena diritta come Giuseppe de Logu ..
    La scelta di chiamare ( questo lo seppi più tardi quando entrai a far parte dell'organismo rappresentativo degli studenti) Ugo La Malfa fu quasi imposta dall'organismo degli studenti di allora di fronte ad una università che avrebbe voluto una rappresentanza "più moderata" visto che La Malfa , se aveva conosciuto quanti erano saliti sulle barricate, conosceva anche quanti avevano , nel corso degli anni a seguire dal suo arrivo a Venezia, assunto posizioni di compromesso o peggio con il regime . Non occorre dire che per me , non ancora universitario ma già giovine repubblicano,quella commemorazione fu una occasione di festa.

    E correlativamente un grande sconforto si prova a vedere l’ attuale situazione del PRI

    Purtroppo il percorso che ha portato alcuni repubblicani ad aderire al governo del magnate è meno improvviso di quanto possa sembrare; solo che con quell'atto è stato superato ogni limite di decenza. Ma già da tempo i repubblicani avevano cominciato con le aperture ad un liberalesimo dietro cui si nascondeva l'abbandono di quanto lo stesso Ugo La Malfa ricorda nell'articolo meritoriamente ripreso da Novefebbraio. Poi le ripicche, la politica dei risentimenti, e le piccole ambizioni personali hanno fatto precipitare il tutto. Sono convinto che vi possano essere e ci siano liberali fermamente antifascisti e nettamente contrari ad una destra xenofoba, nazionalpopulista ed affaristica come quella attuale; ma credo anche che una scuola politica che è da più di cento anni "l'altro polo della sinistra"non possa cominciare un percorso di svolta, magari inizialmente moderata, a destra solo per aumentare l'audience politica , ad emergere in caso di propositi di questo tipo non sono generalmente i migliori.





    Approfitto del precedente articolo sull’ evoluzione del PCI per un ulteriore riflessione, su un altro sito internet un forumista accomunava l’ evoluzione del PCI alla fola che vorrebbe gli Italiani sempre pronti a tradire gli amici esteri : questa storia degli italiani voltagabbana è piuttosto ridicola. Gli italiani hanno tenuto e tengono individualmente fede agi impegni presi generalmente non molto più e non molto meno di tanti altri cittadini del mondo. Solo che qualcuno vorrebbe far credere che gli impegni presi da un dittatore debbano essere rispettati da chi quella dittatura ha subito prima di tutto con la mancanza di un dibattito pubblico sulla attività di governo e con la mancanza di serie informazioni di quanto accadeva nel mondo. Questo a proposito della sciocchezza dei quaranta milioni di fascisti che diverrebbero , colpevolmente, quaranta milioni di antifascisti. Le dittature non hanno alcun diritto di criticare quanti le abbandonano , i cittadini non possono che essere in credito nei loro confronti.
    Quanto al cambiamento della politica del Pci nei confronti dell'Urss parte da più lontano di quanto comunemente non si creda ed è anch'essa non di rado frutto di una serie di conoscenze di cui i cittadini ( in questo caso i comunisti) vengono via via edotti; e non solo i comuni cittadini ma anche fior di intellettuali a cui la verità si svela in determinate circostanze ( si pensi al mutamento di opinione di Silvio Trentin , che comunista non era, ma che nonostante ciò era incorso nell'errore di eccesso di fiducia verso l'Urss, sul così detto "federalismo" della costituzione sovietica) . E poi non dimentichiamo che il movimento comunista italiano è figlio di una storia che è fatta anche di un passato . individuale o familiare, di appartenenza ad un socialismo latino quando non ad ascendenze di socialismo mazziniano. Si pensi alle vicende familiari di importanti comunisti quali Berlinguer, Bruno Trentin , Giorgio Amendola, o di Ingrao che si dice fiero del nonno garibaldino. Un comunismo, e prima un socialismo, quello italiano che già negli anni venti dibatte in maniera originale ( specie nelle aree di confine) il problema delle vie nazionali con talora influssi attinti all'austromarxismo , ma non di rado alla tradizione democratica ottocentesca della sinistra italiana. Poi , ed a ricordarcelo è un comunista a tutto tondo quale Lenin, è anche vero che i fatti hanno la testa dura , e fatti come la rivoluzione ungherese o l'occupazione di Praga, ma anche le precedenti vicende del nostro confine orientale, non possono essere indifferenti ad una evoluzione che finisce inevitabilmente per ridiscutere di tante altre inevitabili certezze. Ma poi in quale sacro testo rivoluzionario è mai stato scritto che l'internazionalismo si dimostra con la fedeltà ad un paese che ha più di altri usato una egemonia politica al fine di interessi nazionali?
    L'accusa di voltagabbana è l'ultimo tentativo di un partito ( poco importa se fascista, comunista od altro ancora) ,che diventa chiesa e carcere, per tenere legati quanti esso stesso per primo ha tradito privandoli di libertà e di verità

     
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    IL PENSIERO ECONOMICO DI UGO LA MALFA
    Inserito da Redazione1 il Gio, 05/05/2011 - 22:28.

    Ugo La Malfa , il mezzogiorno e il ruolo dello stato nell’ economia
    Liliana Sammarco, docente all' università di Palermo e studiosa del liberalesimo ha pubblicato sulla rivista on line Cosmopolis un interessante saggio sul pensiero economico e meridionalista di Ugo La Malfa , l’ articolo è molto lungo , ma ne consigliamo la lettura integrale per gli importanti spunti che suggerisce specie per una politica per il mezzogiorno.
    Riportiamo alcuni brani sul tema dell’ intervento pubblico nell’ economia che abbiamo più volte trattato su novefebbraio





    Per La Malfa "democrazia" significava non soltanto un regime di libertà politica, ma anche un certo tipo di governo di un Paese e della società, con responsabilità di adottare e far valere, soprattutto nelle aree territoriali più svantaggiate e depresse, i principi di "giustizia sociale" riguardanti l'equità e il rispetto dei diritti umani, la solidarietà e la coesione economica e sociale. Ciò rappresentava una visione della società italiana nutrita di un complesso valoriale molto ricco che La Malfa attingeva dall'eredità di Mazzini e di Giovanni Amendola, l'ultimo dei grandi uomini di Stato dell'Ottocento italiano. Amendola, nel giugno del 1925, in occasione del Congresso costitutivo dell'Unione nazionale democratica, una organizzazione politica sostenuta dal quotidiano il "Mondo", aveva indicato nel giovane La Malfa l'erede della nuova formazione politica italiana. Quel filo, poi, fu ripreso dallo statista e articolato con riflessioni moderne sulla crisi della democrazia e sul riformismo democratico

    Nella storia politica italiana della seconda metà del Novecento, un convincimento valoriale della giovane democrazia fu quello di ritenere che tutti i cittadini avessero il diritto di perseguire individualmente il proprio benessere, la propria felicità. Il principio di "giustizia sociale" si avvalse di due possibili interpretazioni di base: una liberale, secondo cui lo Stato doveva garantire l'unicità dei punti di partenza, affidando al merito e all'impegno individuale la responsabilità di stabilire i punti di arrivo; e l'altra comunista, secondo cui lo Stato doveva garantire l'unicità dei punti di arrivo, perché non tutti i cittadini sarebbero stati dotati di pari opportunità, pur avendo pari diritti.

    La concezione socialdemocratica si pose come punto di equilibrio tra i due estremi, dal momento che, partendo dalla impossibilità pratica di garantire l'unicità dei punti di partenza, si assegnava allo Stato il compito di correggere i punti di arrivo con il principio di "giustizia sociale". La Malfa integrò la concezione socialdemocratica con quella liberale, formando una cultura di governo liberaldemocratica. Egli ritenne fondamentale determinare sia la necessità dell'intervento statale per correggere le disparità dei punti di arrivo – disparità consistenti nell'avere dei cittadini di uno stesso Paese destinati a patire in via permanente sorti comparativamente peggiori – sia considerare il carattere economico della libera concorrenza di mercato aperto in Europa, dove lo Stato avrebbe avuto un ruolo dirigista finalizzato al progresso civile e allo sviluppo economico del Paese, per garantire una frontiera minima di benessere per tutti: la dotazione dell'istruzione pubblica, la ricerca scientifica, l'occupazione lavorativa, lo sviluppo ambientale, la tutela della salute e della vecchiaia "protetta", un razionale controllo dei consumi individuali, il welfare "responsabile" di La Malfa. Così lo statista e l'intero gruppo politico dirigente stabilirono, con la firma del Trattato di Roma, nel 1958, l'atto costitutivo del Mercato Comune Europeo.

     
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    LLE RADICI DEL PENSIERO DI UGO LA MALFA (16 5 1903 26 3 1979)
    Inviato da Redazione1 il Lun, 03/25/2013 - 23:36

    impegno poltico repubblicanesimo Ugo La Malfa

    i
    05 lamalfa




    67 anni fa Ugo La Malfa e Ferruccio Parri uscivano dal Partito di Azione e con il Movimento di Democrazia Repubblicana si preparavano ad entrare nel Partito Repubblicano . Facciamo seguire alcuni brani del manifesto di quel movimento . I Lettori ne giudicheranno l' attualità . Le evidenziazioni sono nostre.

    Da Ugo La Malfa Scritti 1925 1953 Arnoldo Mondadori 1988 pag 358 e segg

    . Un grande settore della vita spirituale e sociale del paese non ha trovato eco politica , è rimasto scoperto ed indifeso . Accanto a posizioni ben definite socialiste, cattoliche e conservatrici , contro le posizioni reazionarie, monarchiche e neofasciste non ve ne è stata una immediatamente e direttamente democratica.

    ….....

    Ma nel riconoscere che finora lo schieramento politico è stato inadeguato noi dobbiamo riconoscere che innumerevoli italiani , rimasti assenti dalla vita politica , nulla fanno per il loro paese , per la causa della democrazia , per i loro diritti . La vita democratica non può essere fondata su una critica esterna , sull' ironia sulla scetticismo , è fondata su grandi correnti di opinioni organizzate e sull' equilibrio che risulta dalla loro azione politica . In tale equilibrio , che è garanzia di di libertà , è dovere inserirsi



    Se la nostra democrazia è repubblicana non è per una repubblica qualunque ; è cioè per una repubblica ordinata civilmente, stabile , con governi autorevoli, tecnicamente preparati ad affrotnare i loro compiti politici ed amministrativi , con istituzioni permanenti , sottratte allo spirito demagogico e alle esercitazioni di un rivoluzionarismo verbale ed inconsistente

    La nostra democrazia è per le autonomia locali e regionali. Ma esse non devono essere intese come attentato allo spirito unitario .

    …....

    Attraverso trasformazioni strutturali , tecnicamente preparate , dell' industria e dell' agricoltura , con una politica di lotta ai monopoli , i privilegi e i protezionismi autarchici e corporativisti si può ottenere uno snellimento ed una maggiore produttività del sistema a favore del popolo tutto e uno stabile inserimento nell' economia mondiale

    …...

    Il problema degli operai , degli impiegati e in genere delle classi lavoratrici dipendenti è al centro del ostro interesse . La democrazia è minata alle sue basi se lavoratori e impiegati languono nella miseria e nella insicurezza del loro avvenire , se tutti i cittadino non ottengono la certezza di un livello di vita sufficiente a garantire lo sviluppo della propria personalità. E' necessario che le classi lavoratrici abbiano parità di responsabilità , di funzioni e di dignità nella vita sociale , possano elevare le loro proprie condizioni materiali , godere di un organico sistema di sicurezza sociale, essere liberate dalla ricorrente minaccia della disoccupazione , avere possibilità di istruzione in tutti i gradi di scuola.

    …..

    I rapporti fra Stato e Chiesa devono essere fondati su un regime di aconfessionalità dello Stato , sullla piena libertà delle coscienze e parità di diritti dei cittadini, sulla libertà di culto e di organizzazione della Chiesa cattolica e delle altre confessioni religiose . La nuova democrazia rifugge da ingerenze giurisdizionalista nella Chiesa, mentre riconosce il valoro morale e sociale della religione

    L' accordo fra gli stati , la solidarietà economica il disarmo e la pace devono costituire l'obbiettivo della nostra politica internazionale . Senza una società organizzata di stati che abbia il diritto e il potere di farsi valere non vi è possibilità di pace né avvenire per le nazioni democratiche

    Senza una federazione europea nell' ambito dell' organizzazione più vasta , nonvi sarà contributo dell' europa al progresso democratico del mondo

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    Ugo La Malfa , pensare al paese non ai consensi
    Inserito da Redazione1 il Mar, 10/07/2014 - 21:20.

    Un amico che scrive su facebook con il nick name Partito repubblicano Italiano sta diffondendo importanti documenti della storia del repubblicanesimo e del pensiero di Ugo La Malfa in particolare. Qui sotto riproduciamo un articolo apparso su Epoca nel 1971.

    Di particolare rilevo , in un epoca come la nostra in cui ogni posizione per assurda che sia viene giustificata da "ma ci ha fatto raggiungere il tanto per cento dei voti" ci sembra l' affermazione

    Purtroppo in questo paese tutto si fa e si dice per raccogliere facili consensi e il maggior numero possibile di voti. È inevitabile che questa visione si scontri con la visione di chi, come noi, ha per primo obiettivo non raccogliere consensi e voti, ma servire il paese, che comporta anche l’affermazione delle più spiacevoli verità.

    questo l'articolo integrale

    * “Epoca”, 10 giugno 1971; alla vigilia della vasta consultazione elettorale amministrativa del 13 giugno, che vede un rafforzamento dell’estrema destra.

    Sono consapevole dello stato d’animo di preoccupazione, d’incertezza, quasi di sfiducia che pervade in questo momento il popolo italiano. Non so cosa dicano sulle piazze le altre forze politiche: temo che via sia ancora dell’ipocrisia nella maniera in cui si conduce la battaglia elettorale. Bisognerebbe invece saper fare l’esame di coscienza e sottoporsi a un duro giudizio critico. Io mi sono ampiamente domandato se il PRI, e io stesso, abbiamo fatto il nostro dovere davanti al paese. Con tranquilla coscienza posso rispondere di sì.
    Si teme per la situazione politica generale, per l’ordine pubblico e la tranquillità dei cittadini, per il funzionamento delle istituzioni, per l’andamento dell’economia, per gli sviluppi della situazione sociale gonfia di pericoli: ebbene, dal 1968 ad oggi il PRI non ha fatto che richiamare tenacemente alla realtà, su tutti questi punti, sia le forze interne al centro-sinistra, sia le opposizioni di sinistra. È toccato a noi – partito della sinistra laica, e che si sente profondamente diverso dalla DC – dire ai democristiani quanto fosse pernicioso quel loro frantumarsi in correnti e sottocorrenti, utilizzando per giochi di potere i voti dati dal popolo alla DC per favorire la causa della democrazia e dello sviluppo sociale; e che gli schieramenti e le manovre per arrivare primi nella corsa alla presidenza della repubblica non dovevano pregiudicare l’ordine dei problemi che dovevamo affrontare.

    Ai socialisti abbiamo espresso il nostro rammarico per il fallimento dell’unificazione tra PSI e PSDI. Al partito comunista abbiamo detto: non è servire la causa del popolo questo vostro sollecitare dal basso ogni forma di protesta; prima o poi la demagogia e la confusione si pagano. Abbiamo ammonito, in questi anni: contiamo, programmiamo le nostre risorse; ridistribuiamo in maniera più equa il reddito, mettiamo tempestivamente le basi per le grandi e costose riforme, perché poi un’azione improvvisa non ci porti a indebolire il nostro sistema produttivo con pregiudizio di qualsiasi programma e di qualsiasi riforma. Una società non si guida con la improvvisazione e con la fabbrica delle parole. Quando dicevamo tutto questo per primi e da soli, ci chiamavano Cassandre.
    E adesso? Adesso siamo in brillante compagnia. Il mondo politico ed economico è preoccupato ad ogni livello. Ma io mi domano se il compito di una classe politica è quello di constatare i fatti negativi o è quello di prevenirli e comportarsi in modo che il male non sorga mai. Il rimprovero lo facciamo alle forze del centro-sinistra e dell’estrema sinistra, ma anche agli amici sindacalisti, che hanno una grossa parte di responsabilità in quello che sta accadendo.

    Dall’ “autunno caldo” in qua, troppo scioperi, troppe agitazioni, troppi disordini: col pericolo di indebolire il sistema produttivo, di dare alla nostra economia un andamento da montagne russe, sicché oggi il carrello è precipitato in fondo alla discesa. Perché dare ai lavoratori l’illusione di un passo in avanti che invece non era sicuro e permanente, tant’è che oggi ci troviamo con la minaccia della sottoccupazione, della disoccupazione? In tutto questo tempo abbiamo opposto con tenacia il nostro punto di vista, il nostro programma: prima un aumento di sviluppo del nostro sistema economico, e poi una marcia ascensionale sicura, la conquista di un grandino alla volta, senza mai andare indietro.
    Purtroppo in questo paese tutto si fa e si dice per raccogliere facili consensi e il maggior numero possibile di voti. È inevitabile che questa visione si scontri con la visione di chi, come noi, ha per primo obiettivo non raccogliere consensi e voti, ma servire il paese, che comporta anche l’affermazione delle più spiacevoli verità.
    È triste dover dire che il tipo di politica economica che si fa in questo paese finirà, alla lunga, per calpestare la causa dei più deboli. È spiacevole dover constatare che l’economia e la finanza pubblica sono avviate verso la spirale drammatica di un sempre maggior costo per una sempre minor efficienza. Così, le strutture pubbliche si perdono lungo una via che sarebbe già pericolosa quando il sistema produttivo fosse in ascesa, mentre risulta addirittura catastrofica ora che il sistema declina.
    Solo i repubblicani hanno battuto su questi argomenti con sincerità e costanza. Il “libro bianco” sulla spesa pubblica l’abbiamo chiesto noi. Il governo ce l’ha dato dopo sei mesi. Ma sembra che il popolo italiano non possa ancora conoscere tutta la verità, tutta la gravità della situazione. Potrei comunque andare orgoglioso per ciò che abbiamo, almeno in parte, ottenuto. E invece no. Vorrei chiedere infatti ai responsabili di partiti tanto più grandi e ricchi del nostro: perché lasciate a un partito di minoranza come il PRI tutto il peso, tutta la responsabilità di un dibattito vero sui problemi della vita nazionale?
    Una democrazia moderna non vive di chiacchiere, ma di documenti, di cifre, di valutazioni realistiche. Tutti siamo capaci di volere le riforme, però c’è il problema del come pagarle; e se mancherà la ripresa produttiva tutto andrà a rotoli, riforme comprese. Costruiamo una montagna di impegni di carta, ma il cittadino incomincia a sospettare che sotto non vi sia la consistenza necessaria. Certo che vogliamo le riforme, ma in un quadro organico; e vogliamo poi sapere qual è il contenuto di ciascuna riforma: perché si tratta di fatti istituzionali, permanenti nella vita di una democrazia, che non debbono essere cambiati alla carlona sotto la spinta di contingenze politiche, di scadenze elettorali, di giochi di potere; debbono servire alle generazioni di domani; debbono resistere all’urto del tempo.
    Tutto questo ci ha portati all’uscita dal governo, al cosiddetto “disimpegno”. È stato, il nostro, un ultimo grave ammonimento alle altre forze politiche. Non abbiamo voluto la crisi perché sapevamo che la formula di governo era senza alternative; non abbiamo neanche disertato la maggioranza; però ci siamo riservati, sui punti essenziali, un giudizio obiettivo, distaccato e severo, perché si serve fedelmente il paese solo avvertendolo sui pericoli della situazione.

    Da Ugo La Malfa, La Caporetto economica, Rizzoli, Milano, 1974


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    Il pensiero di Ugo La Malfa distinto da liberali e socialisti
    Inserito da Redazione1 il Mer, 08/21/2013 - 22:15.



    Il volume della collana “ Il pensiero dei padri costituenti” (edizioni Sole 24 ore) di Paolo Soddu su Ugo La Malfa contiene una vastissima documentazione, per tutto l' arco dell vita del grande esponente dell' azionismo e del repubblicanesimo.

    Molto interessante la parte sugli anni fra la fine della guerra e i primi governi De Gasperi, con l' esperienza azionista e l' insediamento nel partito repubblicano.

    Vorremmo qui esaminare in particolare la posizione nei confronti del liberalesimo e del socialismo. Appare chiaro come identificasse la sua posizione come terza ad entrambi .



    Nel dicembre del 45 ancora nel PdA , quando La Malfa parlava della necessità di una “democrazia nuova ardita, fatta matura dalle esperienze e dagli errori del passato, senza pregiudizi di classe e di casta” , pensava al ruolo di piena responsabilità da parte delle grandi masse popolari a cui spettava “stabilire fino a che punto una contrapposizione schematica e puramente classistica fra ceti borghesi e ceti proletari sia utile alla costruzione comune : quali siano le posizioni parassitarie e quali non siano, fin dove giovi socialmente e fino a dove non giovi l' ordinamento privato o collettivo delle imprese produttive, e fino a che limite sia ammissibile o non sia la formazione e l'investimento individuale del risparmio .

    Il PdA era quindi il superamento del paradigma liberale , per porsi al di fuori delle correnti tradizionali liberali , per uno stato regolatore , che però non comporti la necessità di socializzare o statizzare , come vorrebbe la l' ideologia socialista

    La democrazia si stacca dalle ideologie tradizionali ( liberalismo e socialismo )” è lo stato di tutti , lo stato che pone a disposizione della grande collettività popolare i più potenti strumenti di civilizzazione : l' economia e la cultura , le libertà politiche , la socializzazione e la non socializzazione ...”

    ( op cit pag 100)

    La critica alle due correnti tradizionali era stata oggetto pochi mesi prima di una dei primi discorsi pubblici , nel quale aveva sostenuto che "sotto il manto delle società democratico liberali vi sia stato fino alla grande guerra il retaggio di forme storiche – monarchie , caste militari e fondiarie , burocrazie- informate a principi reazionari e assolutistici. Ad esse si contrappose il socialismo, “movimento critica della società democratico liberale – diceva La Malfa – al quale noi dobbiamo molto , ma che aveva mancato alla prova suprema , perchè in una società complessa come quella occidentale in cui i ceti sociali degradano e si intrecciano l'uno nell' altro , l' operaio è e non è un operaio , un contadino è e non è un contadino , un piccolo borghese è e non è un piccolo borghese... in confronto a questa realtà il socialismo non è diventato idea di stato , di governo , di rappresentanza di popolo di amministrazione di popolo” (op cit pag 115)

    Aggiungiamo noi che sono evidentissimi i richiami alle polemiche del mazzinianesimo nei confronti del marxismo : più ancora che la radicalità del programma sociale era contestata la inadeguatezza del pensiero istituzionale del socialismo.

    Temi ripresi in un convegno del PRI del 1951 quando ormai Ugo La Malfa ne era uno degli esponenti più significativi , quando polemizzando con il PCI , escluse di identificare il proprio progetto di democrazia come “un anticomunismo da baraccone o da fiera”, il suo era un progetto coerente con la fase che attraversava l' occidente di “passaggio dall' era capitalista più cruda , dal liberalismo economico più assoluto. Alla democrazia economica moderna , ad una società che può definirsi mazziniana e fabiana insieme” una società che ci ha insegnato “come si combattono le posizioni monopolistiche e i redditi alti, come si evitano le accumulazioni patrimoniali , come si distruggono le zone di privilegio , come si distribuisce il reddito di una società, talchè il più umile dei lavoratori ne riceva la parte sufficiente ai suoi bisogni a un dignitoso livello di vita materiale e morale ,... come si può conciliare, per un risultato sociale più alto, l'intervento dello stato con l' iniziativa privata ...pertanto l' osanno dei liberisti italiani ( e gli interessi organizzati) innalzano all' intrapresa e all' iniziativa privata è tanto ridicolo come l' osanna alle privatizzazioni .” (op cit , pag 164)


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    RENZI NON E' LA MALFA
    Inviato da Redazione1 il Dom, 09/21/2014 - 16:00

    Renzi repubblicanesimo Ugo La Malfa

    Renzi e La Malfa ( di Guido Compagna)


    Davvero raramente mi è capitato di non condividere le analisi politiche di Stefano Folli, con il quale peraltro ho la fortuna di una frequentazione giornalistica e politica che data dagli anni '70. Oggi il suo editoriale sul Sole si intitola: più La Malfa che Thatcher pel piano Renzi. Non lo condivido.
    Da quando Renzi è diventato segretario del Pd e presidente del Consiglio mi interrogo se la sua concezione delle riforme, soprattutto quelle per risanare e salvare l'economia italiana, abbiano qualcosa a che vedere con il generoso e forse drammatico tentativo che fece il leader repubblicano (ai tempi del primo centro-sinistra) di coinvolgere i sindacati al tavolo della programmazione per affrontare insieme il superamento delle inadeguatezze della nostra economia attraverso la politica dei redditi.
    La Malfa si rivolgeva soprattutto alla Cgil e a Luciano Lama e anche al partito comunista. Erano gli anni nei quali in Romagna svolse un appassionato dibattito con Ingrao e a Roma con Giorgio Amendola. L'invito di La Malfa a Lama e ai sindacati era pressochè questo: mettete da parte la conflittualità permanente che rischia di mettere in crisi le imprese e con loro la crescita e lo sviluppo della nostra economia e insieme al governo e alle forze politiche (nei limiti dei vincoli di politica estera anche al Pci) avviamo insieme la politica dei redditi. Insomma una proposta alta di concertazione. In un momento nel quale i cosiddetti totem non erano certamente l'artico 18 e le tutele dei lavoratori, ma la conflittualità permanente, la retorica degli autunni caldi, l'altissima quota di assenteismo nelle fabbriche
    La proposta di La Malfa fu oggetto di attenzione e di interesse da parte della Cgil e di buona parte del Pci. Non fu invece gradita a buona parte della Uil e della Cisl a cominciare dalla Fim, (che rappresentava il vero estremismo sindacale). Anzi si accusava il leader del pri di voler ingabbiare la capacità di lotta del sindacato. Altrettanto fredda fu l'accoglienza da parte di socialisti e sinistra dc, impegnati talvolta a scavalcarsi reciprocamente a sinistra e a mettere in difficoltà il Pci, rincorrendo l'estremismo sindacale.
    Quanto a Renzi a me sembra che la sua prima preoccupazione, una volta arrivato a palazzo Chigi, sia stata quella di escludere a priori ogni ipotesi di concertazione con i sindacati. Sopratttutto sui grandi temi dell'economia. Insomma se la preoccupazione di La Malfa era quella di responsabilizzare Lama e la Cgil (in buona parte riuscendovi), la preoccupazione di Renzi è stata quella di estremizzare il più possibile la Cgil e la Camusso. Si potrebbe dire: ma la Camusso non è Lama. Può essere. Ma al tempo stesso la Camusso non è una bolscevica. Viene dal Psi. E per quanto ricordo, per esperienza professionale, era la socialista che alla guida della Fiom non ricordo se della Lombardia o di Milano faceva dei buoni accordi alla Magneti Marelli, mentre a Torino sotto la spinta dei massimalisti della Fim Cisl, il sindacato conosceva la Caporetto della Fiat. Altri tempi, ma le storie, anche quelle personali contano.
    Ultima considerazione. Sono d'accordo con Folli sul fatto che paragonare Renzi alla Thatcher e anche a Schroeder e Blair è operazione senza senso. Restiamo in Italia. E qui io credo che il rampante segretario del Pd, quello degli 80 euro appunto, somigli non poco al La Pira, sindaco di Firenze, che imponeva a Fanfani e all'Eni di non chiudere la fonderia del Pignone, che non al La Malfa che provò a chiedere aiuto a Lama, alla Cgil e al Pci per fare la politica dei redditi

    questo l' articolo di Folli www.ilsole24ore.com/art/notizie/201...l?uuid=ABQN3lvB
     
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    CONSUMI PUBBLICI E PRIVATI NELLA NOTA AGGIUNTIVA DI UGO LA MALFA (1962)






    Come è ampiamente conosciuto la “nota aggiuntiva” che nel 1962 Ugo la Malfa , allora ministro del Bilancio del quarto governo Fanfani (DC, PSDI, PRI) , produsse come introduzione al bilancio statale di quell' anno , è uno dei documenti più significativi del pensiero politico ed economico del leader Repubblicano .
    La nota fu redatta con il supporto scientifico di Franco Modigliani , successivamente (1985) premio Nobel dell' economia .
    Come disse il sole 24 ore nel cinquantenario di quel documento

    “il 22 maggio 1962 Ugo La Malfa, allora ministro del Bilancio e della programmazione economica, aveva perfettamente descritto al Parlamento molte delle conquiste dello sviluppo economico e sociale italiano durante il boom e identificato gran parte degli interventi che, se realizzati, ne avrebbero corretto gli squilibri.
    Il quadro diagnostico di La Malfa si concentrava su tre campi di intervento: il settore agricolo; l'industrializzazione nel Mezzogiorno e lungo la dorsale adriatica; i consumi e servizi pubblici, in particolare istruzione, sanità, previdenza sociale e gestione del territorio. Strumenti per raggiungere questi obiettivi vengono identificati negli Enti di sviluppo per le zone agricole; nella programmazione regionale; e nella volontà politica di perseguire un'espansione dei consumi pubblici superiore a quelli privati.

    e termina così “La programmazione italiana esprimeva la consapevolezza dei limiti della trasformazione economica indotta dal "miracolo economico" e indicava la necessità di superare gli squilibri del Paese. Della rinuncia sostanziale a programmare, con la scusa della "congiuntura", il Paese sconta ancora le conseguenze. “

    www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-...l?uuid=AbvnI8lF

    Vorremmo qui riportare alcuni dei brani che attengono al terzo obbiettivo indicato nella “nota” quello dei consumi pubblici e privati
    La Malfa partiva da un presupposto
    un elevato tasso di incremento di reddito, anche se diffuso su tutto il territorio, e anche se accompagnato dall’assorbimento della disoccupazione, non necessariamente si tradurrebbe in un corrispondente incremento diffuso di benessere e in un progresso umano e sociale. Non sempre, infatti, come si è detto, all’arricchimento si accompagna un maggiore livello di vita civile maggior livello che richiederebbe, non solo e non tanto il più (maggiori flussi globali di reddito e di consumi), ma soprattutto il meglio, ossia una struttura produttiva e sociale e un impiego di questi flussi che siano conformi alle esigenze di una società in reale ed equilibrato progresso civile.


    Dopo aver parlato dei temi della agricoltura e del Mezzogiorno la nota affronta il tema dei consumi pubblici

    occorre porre attenzione a un vasto gruppo di problemi, che devono dar luogo a corrispondenti interventi, la cui rilevanza, meno avvertita nel passato, si manifesta sempre più evidente. Di questi problemi faremo particolare cenno qui di seguito:
    a) Viene, intanto, in primo piano l’intervento pubblico in certi campi che appaiono tradizionali, e che tuttavia sono risultati finora assai sacrificati, non tanto per mancanza di mezzi, quanto soprattutto per mancanza di adeguata scelta politica: il campo dei consumi pubblici e dei servizi pubblici.
    Si colloca, con grande rilievo, in questo quadro la scuola, della quale abbiamo già trattato, poiché la crisi delle strutture scolastiche è gravissima nel nostro Paese, e assume il carattere di un processo cumulativo, pericolosamente vicino al punto in cui diverrà irreversibile. I dati che l’intervento pubblico dovrà modificare sono, come già abbiamo avuto occasione di rilevare: la scarsa propensione delle famiglie alle spese per l’istruzione; la struttura delle remunerazioni e degli incentivi, in termini di reddito e di status sociale, che favoriscono la spinta verso guadagni rapidi e scoraggiano una seria istruzione generale e professionale (non consistente nella ricerca di un titolo indipendentemente dalla preparazione); la scarsità dei fondi dedicati alla ricerca scientifica e all’istruzione in genere. Si pone la necessità di migliorare il sistema scolastico: e di tale miglioramento è premessa essenziale la formazione quantitativamente e qualitativamente adeguata di docenti con un piano a lunga cadenza. Gli altri interventi da attuare, al di fuori del settore scolastico propriamente detto, dovranno essere rivolti a modificare la distribuzione del reddito e il sistema di remunerazione e di incentivi al fine di creare le premesse necessarie, non solo interne ma anche esterne, ad un più soddisfacente sviluppo dell’istruzione.
    La rapida diffusione di consumi «opulenti», sintomo di squilibri nella distribuzione degli incrementi di reddito, provoca essa stessa conseguenze che destano preoccupazione. Per una sorta di effetto di imitazione, anche i percettori di bassi redditi sono indotti a trascurare e a comprimere i consumi più essenziali pur di possedete beni, specialmente di consumo durevole, che 1’esempio delle classi più agiate e l’opera di persuasione dei mezzi pubblicitari fanno preferire. Le conseguenze che ne derivano non sono misurabili, ma sembra che debbano essere in qualche modo contenute.
    b) Nell’assicurare a tutti un livello civile di vita, l’azione diretta dallo Stato, in quanto si tratti di problemi di sua pertinenza, deve essere rafforzata. Di pertinenza dello Stato sono infatti oltre all’istruzione, la assistenza sanitaria, che deve essere ugualmente valida ed efficiente per tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro condizioni finanziarie, la previdenza sociale e le assicurazioni, che garantiscano a tutti un minimo di sicurezza di vita.
    Di pertinenza dello Stato sono ancora tutte le pubbliche utilità, dai trasporti all’energia, che ovunque dovrebbero essere disponibili nella misura necessaria.
    Al riguardo si deve tener presente che l’aumento e il miglioramento dei consumi pubblici rappresentano una delle forme più desiderabili di aumento del reddito reale e di miglioramento del tenore di vita, in quanto esse risultano più equamente distribuibili fra tutti i membri della collettività. Una espansione dei consumi pubblici comparativamente ai consumi privati, ossia un tasso di incremento dei primi superiore a quello dei secondi, rappresenta pertanto un contributo fondamentale al raggiungimento di un reale benessere collettivo.

    E' ovvio che l' Italia di oggi non è quella di 56 anni fa, ma siamo sicuri che la priorità di quelle che La Malfa considerava le “pertinenze dello stato “ e cioè “oltre all’istruzione, la assistenza sanitaria, che deve essere ugualmente valida ed efficiente per tutti i cittadini, indipendentemente dalle loro condizioni finanziarie, la previdenza sociale e le assicurazioni, che garantiscano a tutti un minimo di sicurezza di vita... ancora tutte le pubbliche utilità, dai trasporti all’energia, che ovunque dovrebbero essere disponibili nella misura necessaria.” non siano ancora le priorità assolute , prima di qualsiasi forma di incremento di reddito individuale ?


    www.fulm.org/articoli/economia/nota...mica-paese-1961

    Edited by lucrezio52 - 20/3/2018, 18:03
     
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    "Ugo La Malfa l' omaggio di uno storico cattolico tradizionalista e dell' Unità "



    39 anni fa , il 26 marzo 1979 moriva Ugo La Malfa . Fra i vari testi che ricordarono da allora in poi la vita del grande statista repubblicano , ne vorremmos egnalare una abbastanza inconsueta , è un articolo di uno storico cattolico tradizionalista, Roberto de Mattei apparsa pochi gironi dopo la scomparsa del nostro su una rivista ancor più cattolico tradizionalista . L' articolo tende a sottolineare fortemente la "alienità " di Ugo La Malfa dalla mentalità di scrisse quell' articolo , ma è anche pienod i rispetto e di ammirazione , per l' integrità e l'impegno del leader repubblicano .
    E da quell' articolo estraiamo , se è consentita una sorta di par condicio, l' opinione che espresse l' Unità il giorno della morte a proposito dell' opera di Ugo La Malfa per tenere insieme le forze democratiche dopo il rapimento di Moro

    "Non era soltanto il "cemento" antifascista era qualcosa di più; una sua disponibilità al confronto fra i diversi atteggiamenti della ragione che lo spingeva i cercare la scintilla "laica" dovunque la intuisse in un cervello politico, fosse quello di Togliatti o Amendola, di De Gasperi o Moro. Per questo, per decenni, anche negli anni delle divisioni più aspre, i fili invisibili della parentela politica fra '1aici" non si spezzarono mai. E il colloquio, anche per merito di La Malfa, non si ridusse mai a un rapporto fra conventicole ma tentò sempre la dimensione più ampia, mirò ad acquisire al ragionamento 'laico" perfino il mondo cattolico da strappare anch'esso al suo integralismo. In questo senso, c'è una connessione non secondaria tra le intuizioni di Togliatti e quella di La Malfa. Da punti di vista radicalmente opposti, entrambi sapevano - e lo dicevano - che la partita politica italiana, la storia di domani, era affidata alla capacità di creare un rapporto tra i filoni essenziali della società nazionale, quelli stabiliti non da questo o quel risultato elettorale, non da questa o quella formula di governo, ma dalla storia stessa della società"


    http://davidbotti.tripod.com/LaMalfa.html
     
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    UGO LA MALFA VISTO DA EUGENIO SCALFARI



    su "Repubblica " del 2 1 2021 appare una lunga intervista del direttore Molinari al fondatore del giornale Eugenio Scalfari . Argomento dell' intervista sono gli esponenti del "Riformismo" nella storia di Italia. Riformismo che , nell' opinione di chi scrive , non viene ben definito , tenuto conto che che in questi decenni nonha esattamente lo stesso significato da quando veniva identificato con il trimonio "Case scuole ospedali " ad ora che è coinciso con le proposte di riduzione di tutele e benefici del welfare .
    Sui personaggi inseriti ed esclusi da Scalfari nell' intervista e su alcuni riferiemnti temporali non precisi sono nate polemiche , vorremmo invece qui riproporre la descrizione che Scalfari da di Ugo La Malfa , non necessariamente da condividere in ogni suo giudizio, ma sicuramente interessante da conoscere

    .......
    «Vorrei ricordare i “convegni del Mondo”, voluti e organizzati da Pannunzio. In essi si esprimeva un forte sostegno al programma innovatore delle forze indirizzate verso il centrosinistra. Se i liberali erano rimasti sulla sponda conservatrice, i repubblicani di Ugo La Malfa rappresentavano l’idea più moderna del liberalismo calato nei problemi di sviluppo di una società industriale. I convegni ebbero un ruolo cruciale nel sostenere la nazionalizzazione dell’industria elettrica ed altri temi riformatori. Dominava il pensiero di Ernesto Rossi e le sue idee sul ruolo dello Stato nell’economia. Lo Stato era protagonista del sistema produttivo, con il compito di riformarlo, innovarlo, senza tentazioni assistenziali e clientelari. E poi c’era l’Europa.
    Ernesto Rossi era stato con Eugenio Colorni e Altiero Spinelli a Ventotene, assieme scrissero il “Manifesto” che si articolava proprio sulla visione di un’Europa integrata e sul ruolo statale nell’economia, una volta liberati dalla dittatura fascista».
    E poi c’è il riformismo cattolico. Come consideravate Alcide De Gasperi?
    «De Gasperi era un riformista, un liberale cattolico. La sua Dc credeva nelle riforme dello Stato, basti pensare alla riforma agraria, al libero scambio, al ritorno dell’Italia nell’occidente delle democrazie avanzate. Quando De Gasperi muore, nel ’54, c’è Pannunzio nel giornalismo e Ugo La Malfa nella politica: due laici che di fatto ne difendono il lascito. All’inizio La Malfa era azionista, uno dei capi del Partito d’azione, sempre attento a quello che si muoveva verso sinistra. Eravamo molto legati con Ugo. Lui un giorno mi disse: “Vado nel Pri perché qui c’è gente di sinistra ma anche di destra come Carandini”.
    Voleva essere un ponte e lo fu. “In quanto repubblicano sottolineava - potrò tenere i contatti con voi e con te”. Anche per questo quando morì fui io a pronunciare il discorso alle esequie a Piazza Colonna. Era un personaggio di grande intelligenza e preveggenza».
    Quale era il tuo legame con Ugo La Malfa?
    «La Malfa era per una presenza ben calibrata dello Stato nell’economia. Ovviamente accanto allo sviluppo del settore privato. Era per una radicale riforma dello Stato e della pubblica amministrazione, in grado di liberarla delle incrostazioni del passato e di una burocrazia persistente e frenatrice. Riteneva che la giovane Repubblica avesse bisogno di una struttura efficiente. Erano gli stessi obiettivi del gruppo del Mondo, tra i cui collaboratori più prestigiosi c’era Gaetano Salvemini, il grande meridionalista. Eravamo a favore della Cassa del Mezzogiorno, una delle maggiori conquiste di quegli anni. Essere di sinistra significava battersi per uno Stato capace di aiutare l’economia, renderla più vicina ai cittadini, più equa».

    Edited by lucrezio52 - 3/1/2021, 11:20
     
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