Novefebbraio , repubblicani nella sinistra

Posts written by lucrezio52

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    Luigi Mascilli Migliorini è uno storico docente di Storia del Mediterraneo moderno e contemporaneo e di Storia moderna presso l'Università degli Studi di Napoli "L'Orientale", autore di molti testi in particolare del periodo Napoleonico e della storia d'Italia nel XIX secolo , nonchè , insieme ad altri di una "Storia del mondo dall' anno mille ai giorni nostri" che cerca di superare il tradizionale approccio eurocentrico

    Ospite spesso di trasmissioni televisive , è solito citare come occasione mancata del Risorgimento il progetto di "Assemblea costituente italiana " , sorto dopo la spedizione dei mille in ambienti Garibaldini e Mazziniani e rifiutato subito da Cavour e Vittorio Emanuele II

    Nel suo recentissimo "11 maggio 1860" Mascilli Migliorini riprende il tema a conclusione del suo racconto sull' impresa di Garibaldi

    Il racconto della preparazione e dello sbarco è scritto con uno stile molto narrativo , chi si aspettava un saggio potrebbe essere un pò deluso.
    L' ultimo capitolo Migliorini riprende un tono decisamente saggistico , provo a riassumere qui di seguito le pagine 168 172 dove viene affrontato l' argomento , in corsivo il testo originale


    Mascilli Migliorini parte dall’ osservazione che “l'impresa dei Mille si era proposta sin dal suo inizio l'obiettivo di riequilibrare un rapporto tra le correnti convintamente democratiche, quando non francamente repubblicane, del movimento patriottico e quelle di ispirazione liberale, moderate e dichiaratamente monarchiche.” Ma aver rinunciato con il grido con "Italia e Vittorio Emanuele" ad un impostazione pregiudiziale repubblicana non significava , per lo stesso Garibaldi rinunciare alla “pregiudiziale democratica”; in altre parole non limitarsi a cacciare dalla Penisola i governi stranieri e le dinastie sostanzialmente ancora espressione dell'Antico Regime ma riversare in senso istituzionale e politico nelle varie parti d' Italia che il movimento democratico riconosceva diverse e diversificate il nucleo dell' eredità della rivoluzione europea conclusa qualche decennio prima

    Lo stesso Mazzini arrivato a Napoli “si era mostrato disposto ad accantonare ogni immediata idea di repubblica se questo avesse facilitato la formazione di un'Assemblea Costituente, destinata a dare al nuovo Regno una Carta che non fosse espressione - come lo Statuto Albertino - di una stagione, di una cultura, di un ceto e di una dinastia che rappresentavano non la sintesi, ma una delle parti che ad essa avevano concorso. La sintesi poteva riposare solo in una Costituzione approvata dal popolo italiano, al quale, al contrario, vennero progressivamente offerti solo plebisciti di annessione al Regno sabaudo e al suo sovrano.”
    D’altra parte Migliorini concorda con Osserva con Rosario Romeo che "Cavour non avrebbe potuto accettare questa diversa Italia, nata 'd'un getto' dalla iniziativa popolare e fondata dunque sul nuovo patto nazionale stipulato dalla costituente e non sullo Statuto, senza ri¬nunciare a quell'Italia borghese e moderata, fondata sul liberalismo economico e sul gradualismo politico, alla quale egli e gran parte delle forze sociali e della cultura più moderna del paese avevano aspirato per decenni". Avuta la certezza che la forma Monarchica non era in discussione Cavour si rifiutò di seguire, Mazzini e Garibaldi sul terreno dell’Assemblea costituente.

    L’abbandono di questa strada, continua l’autore, comportò alti costi, con un sistema parlamentare molto fragile, che non resse all’ avvento del fascismo. Fu dato un “come patto fondativo di una nazione del tutto nuova e assai complessa uno Statuto, quello voluto da Carlo Alberto nel 1848 ispirandosi alle esperienze della Charte borbonica e della Costituzione di Luigi Filippo dopo la rivoluzione liberale del 1830, sostanzialmente octroyé, concesso e non discusso, chiaramente improntato al pensiero politico più cauto della Restaurazione europea”.

    D’altra parte, anche dal punto di politico e amministrativo, la scelta di una soluzione accentrata secondo il modello napoleonico, rifiutando ogni ipotesi di federalismo o di decentramento, non teneva conto della realtà plurima e differenziata dell’Italia.” Tutta la legislazione sulle autonomie comunali e provinciali, tutta la legislazione in materia scolastica e di pubblica sicurezza, nonché tutta la codificazione penale e civile, adottate in via provvisoria dal Regno di Sardegna tra l'ottobre e il novembre del 1859, nel vivo ancora delle emergenze militari e diplomatiche di quella fase del processo unitario, estensione, dunque, in larghissima parte ai nuovi territori annessi della normativa piemontese, finirono col diventare la camicia di forza ordinativa nella quale venne stretto lo Stato unitario.”
    Simbolo di come si trattasse più di annessione al vecchio Piemonte e non di creazione di uno stato nuovo, fu la prosecuzione della numerazione del Parlamento (la legislatura che salutò la nascita dell'Italia unita fu, così, non la prima, ma la settima) e la titolazione della numerazione del Sovrano (Vittorio Emanuele è secondo nella successione sabauda e non diventa primo come re d'Italia).


    Mascilli Migliorini si concentra sulla volontà espressa da Vittorio Emanuele di puntare su “la via della continuità dinastica e l'espunzione da sé di ogni imbarazzante contiguità con le spinte alla trasformazione politica e sociale. "In Italia io so che chiudo l'era delle rivoluzioni": Vittorio Emanuele lo aveva scritto, un mese prima, all'indomani della battaglia del Volturno, in un Proclama ai Popoli dell'Italia meridionale destinato a preparare il suo arrivo nel Mezzogiorno. Sapeva bene che il processo di unificazione nazionale era stato anche un ininterrotto ciclo di rivoluzioni che, a partire da quelle cosiddette "giacobine" degli ultimi anni del secolo preceden¬te, avevano mantenuto vivo - come non era accaduto e non accadeva in nessun paese europeo, Francia, forse, esclusa - lo spirito vitale e contraddittorio dell'Ottantanove. Ma quella possibilità di racconto, che la storia offriva, non poteva avere spazio nel racconto della nazione unita. Il Risorgimento non era - nemmeno per frammenti sparsi - una parte della Rivo¬luzione francese, non era nato da essa e da essa, anzi, si era tenuto sempre (lo spiegherà di lì a qualche anno Alessandro Manzoni nel suo celebre La Rivoluzione francese del 1789 e la Rivoluzione italiana del 1859) distante”

    Se l’impresa dei mille aveva rappresentato uno dei massimi punti di contatto e collaborazione fra le due grandi famiglie po¬litiche che avevano caratterizzato il nostro risorgimento , quella moderata e quella democratica , la scelta di continuità di Vittorio Emanuele e Cavour ne determinò la frattura, come efficacemente esternò in Parlamento Francesco Crispi, prima della sua conversione monarchica "Credete voi - chiedeva l'antico garibaldino agli uomini della Destra al governo - che noi tutti, associandoci a voi, facendo col Principe l'unità nazionale, credete che noi pensammo farla a dispetto della libertà? Vi ingannate. Credete voi che il popolo italiano, associandosi a noi, abbia fatto questa unità perché sia il monopolio di una classe, perché sia sfruttata da pochi e non sia beneficio di tutti? Vi ingannate".
    D’altra parte Mascilli Migliorini ricorda che i prodromi del risorgimento nacquero proprio dal Sud , nella Repubblica Napoletana del 1799 e nel seguito che ebbe il disperato tentativo di Murat .
    . Il rifiuto di convocare un'Assemblea Costituente all'indomani della raggiunta unificazione territoriale e politica apparve, dunque, non solo come il sacrificio di una parte - quella democratica - soc¬combente, ma anche come il prevalere di una metà del nuovo Stato sull'altra e questo ancor prima che la "piemontesizzazione" rivelasse, negli anni successivi, la difficoltà della classe dirigente unitaria ad armonizzare le differenti componenti territoriali e sociali della penisola e, soprattutto, a definire in termini accettabili la relazione tra Nord e Sud del paese.
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    un anno fa (febbraio 2023 ) importante convegno della sezione AMI di Forlì sulla figura di Giordano Bruno .
    Molto interessanti le relazioni segnaliamo in particolare quella di Roberto Balzani con interessanti osservazioni sulla religiosità di Mazzini , come è noto appassionato delle teorie di Giordano Bruno

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    Da ultimo proponiamo l'osservazione del maestro Riccardo Muti , contraria all' idea spesso propalata , specie da ambienti leghisti, di sostituire il "canto degli Italiani" con "va pensiero"

    https://www.repubblica.it/spettacoli/teatr...tato-421744115/
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    Volendo approfondire una visione più musicale dell' "canto" ecco qui una riflessione di un amica che scrive su Facebook con nome di Jules Ellepì proposta anche sulla pagina di Repubblica e Progresso

    Ho notato che, per quanto sia diffusa una certa conoscenza del significato del testo del nostro Inno Nazionale, non può dirsi lo stesso del significato della musica che lo anima. Vorrei provare, dunque, a raccontarlo e, per riuscirci, utilizzerò gli appunti che ho tratto dalle interessantissime conferenze tenute dal professor Michele de Andrea sul tema


    che vi consiglio di guardare. Mi scuso in anticipo per eventuali imprecisioni e refusi.
    Il nostro inno è una cabaletta: essa, nel melodramma, corrisponde al momento in cui vengono portati in scena la presa di coscienza e l’incitamento ad agire. Bisogna ricordare che il melodramma era praticamente l'unico orizzonte compositivo degli uomini dell'epoca, ancor più se si pensa che Michele Novaro, autore della musica dell'Inno, lavorava proprio nel mondo del teatro d'opera.
    Infatti, prima di mostrare ai suoi amici la musica che aveva dedicato all'inno del giovane Mameli, Novaro si sentì in dovere di raccontare la visione (teatrale) che lo aveva ispirato: essa si apriva su un’immensa pianura in grado di accogliere l’intera popolazione italiana, la quale era giunta lì dopo aver seguito un richiamo misterioso e non sa perché si trova lì.
    Squilli di tromba richiamano l’attenzione del popolo riunito nella pianura: significa che qualcosa d’importante sta per accadere. Sul margine della pianura, posta su un trono rialzato, si trova una figura riccamente vestita seduta su un trono rialzato.
    Sulla scena incombe un enorme silenzio, sottolineato nella partitura non da una sola battuta di preparazione, ma da due. Il personaggio si alza, allarga le braccia e annuncia con voce solenne che l'Italia si è risvegliata e che deve tornare ad essere vittoriosa come un tempo: "Fratelli d'Italia, l'Italia s'è desta".
    L’annuncio ha l'effetto di un pugno sullo stomaco sul popolo, che rimane quasi senza fiato (quello che noi storpiamo con "popopò-popopò-popò-popò-popò"); la gente si guarda attonita, comincia a mormorare, a interrogarsi e prova a ripetere a mezza voce le parole che ha appena sentito, ancora incredulo: effettivamente chi di noi, dopo aver ricevuto una notizia sconvolgente, non ha mai reagito ripetendo meccanicamente quanto appena ascoltato?
    Pian piano, il popolo comincia ad essere persuaso e capisce che la lotta costerà sacrifici: “Stringiamci a coorte, siam pronti alla morte, l’Italia chiamò“. Tuttavia, il popolo è ancora incerto: la morte fa paura, per questo questa parte deve essere cantata ancora a bassa voce.
    Gli italiani, infine, riescono a fare proprie quelle parole e sono disposti a rischiare per la libertà: la loro voce diventa più convinta, sicura e forte (crescendo e accelerando sino alla fine), sino a suggellare il giuramento con quel famoso "Sì!" (che fu aggiunto proprio da Novaro).
    Ma allora perché è spesso chiamato "marcetta"? La colpa (se così si può chiamare) è del vecchio cerimoniale monarchico, sul quale venne innestato in fretta e furia quello repubblicano nell'immediato dopoguerra, senza tener conto delle conseguenze. La Marcia Reale di Gabetti, essendo – appunto – una marcia, accompagnava il passo (regolare) dell’alfiere –!il quale aveva il compito di presentare il tricolore – e si sarebbe potuta interrompere in qualunque battuta, non appena la bandiera fosse giunta alla posizione stabilita. L'aver utilizzato lo stesso cerimoniale per l'Inno di Mameli e Novaro, nato da una visione completamente diversa, ne ha determinato la trasformazione in "marcetta": il nostro inno è tutt'altro che brutto, ma è – purtroppo – poco conosciuto e, a causa di ciò, suonato male.
    Piccola aggiunta personale: eravate a conoscenza del fatto che l'Inno di Mameli (e Novaro) è stato cantato anche dai Partigiani? Allego qui la testimonianza di uno di coloro che lo intonarono: https://m.youtube.com/watch...
    Per quanto riguarda il significato del testo dell'Inno e altre curiosità, allego qui il link a un mio precedente post sul tema che avevo scritto tempo fa polemizzando con un articolo di Montanari:
    https://www.facebook.com/giulia.lp.9/posts...5l?locale=it_IT
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    Nel febbraio 2023 Tommaso Montanari , rettore dell' Università per stranieri di Perugia diffuso un infelice commento con cui definiva :“Fratelli d’Italia”, il triste inno nazionalista fuori dalla storia


    https://infosannio.com/2023/02/13/fratelli...i-dalla-storia/


    la risposta dell' Associazione Mazziniana fu immediata , sia ad opera del suo Presidente

    Giù le mani dal Canto degli Italiani
    Nel settembre scorso, in una lettera aperta al Direttore del “Domani” Stefano Feltri, intervenivo sulla manipolazione in chiave sovranista del “Dio, Patria e Famiglia” mazziniano, istituzionalizzata da Giovanni Gentile e dal fascismo durante il ventennio ed oggi riproposta da numerosi intellettuali di destra, tra i quali ricordo Pierangelo Buttafuoco. Spiegavo che tale interpretazione è mistificatoria perché non tiene conto di due elementi essenziali. Il primo è che per Mazzini un uomo, per compiere il suo dovere, deve essere un uomo libero, e dunque vivere ed agire in un contesto democratico. Il secondo, ancora più importante, ben chiarito peraltro da Stefano Recchia e Nadia Urbinati nell’antologia di scritti mazziniani Cosmopolitismo e Nazione, uscita nel 2011, è che per Mazzini Dio, Patria e Famiglia erano ricompresi nel più ampio cerchio dell’Umanità, intesa come vero e proprio “soggetto politico” per il futuro. Mazzini lo spiega chiaramente nel quarto capitolo de I Doveri dell’Uomo: “quelli che v’insegnano morale, limitando la nozione dei vostri doveri alla famiglia o alla patria, v’insegnano, più o meno ristretto, l’egoismo, e vi conducono al male per voi medesimi. Patria e Famiglia sono come due circoli segnati dentro un circolo maggiore che li contiene […] l’Umanità”. Nazione come mezzo, dunque, e non come fine, per raggiungere gli Stati Uniti d’Europa fra paesi liberi e democratici sul modello della Repubblica Romana del 1849.
    Le manipolazioni, purtroppo, come gli esami non finiscono mai. Oggi, quando ho letto l’articolo di Tomaso Montanari pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” intitolato Fratelli d’Italia, il triste inno nazionalista fuori dalla storia ho sentito, come allora, l’esigenza di intervenire contro un’altra mistificazione, che identifica il Risorgimento democratico col nazionalismo. Riferendosi alle parole di Mameli Montanari scrive che “la patria è il fine, la vita dei suoi figli è il mezzo. La persona umana non conta nulla: conta solo il destino della nazione”, aggiungendo che esse “si iscriv[ono] perfettamente nella retorica risorgimentale cui appartiene”, dimostrando di non aver colto – o di non voler cogliere – il messaggio proveniente da Mameli, Mazzini e dai democratici dell’epoca. Se il Risorgimento fosse stato fatto di sola retorica e vuote parole, come pensa Montanari, non avremmo conosciuto, tra le tante, l’esperienza della Repubblica Romana, in difesa della quale Mameli sacrificò la sua giovane vita. Come è noto, mentre i francesi erano già entrati a Roma, l’Assemblea Costituente approvò una costituzione che abolì, tra le altre cose, la pena di morte ed il potere temporale del papa, diventando modello per i costituenti italiani nel secondo dopoguerra. Questo elemento è stato completamente ignorato da Montanari, che anzi si spinge a dire, nell’affermazione a mio parere più mistificante, che l’inno di Mameli è “così opposto ai valori della Costituzione repubblicana”. Sappia Montanari che a Forlì, nel circolo repubblicano di “via lunga”, ricostruito mattone dopo mattone dai mazziniani al termine della seconda guerra mondiale, campeggiano ancora due lapidi. La prima, collocata più in alto, ricorda i caduti del circolo durante la Prima Guerra Mondiale. È stata ricomposta e custodita gelosamente dopo che nel 1924 i fascisti la danneggiarono in un assalto squadrista. La lapide sottostante ricorda proprio quelle violenze, e fu collocata nel 1949, in occasione del centenario della Repubblica Romana: “Questo marmo dedicato ai caduti spezzato da sacrilega mano fascista nel 1924 la Sezione Aurelio Saffi riconsacra nell’anno centenario della Repubblica Romana 1949”. Giù le mani dal Canto degli Italiani, dunque. E dalla tradizione democratica del Risorgimento italiano.

    https://www.associazionemazziniana.it/giu-...degli-italiani/


    che del direttore dalla Domus Mazziniana Pietro Finelli

    Fratelli d’Italia’ è un inno contro l’imperialismo e per la libertà: perciò dissento dal prof Montanari

    Fratelli d’Italia riesce ancora a fare scandalo come nel Regno di Sardegna assolutista del 1847. La sua esecuzione da parte di Gianni Morandi nella prima serata del Festival di Sanremo ha suscitato l’indignazione di un colto e influente intellettuale come Tomaso Montanari, tanto da spingerlo a dedicargli un articolo sulle pagine di questo giornale lunedì 13 febbraio.
    Montanari, le cui battaglie e posizioni spesso mi sono trovato a condividere come molte delle lettrici e dei lettori, propone una lettura esplicitamente nazionalista e di destra del Canto degli Italiani che nega il nesso Risorgimento, Resistenza, Repubblica, riportandoci a una contrapposizione superata non solo dalla Lettera a Mazzini letta da Ascanio Celestini sul palco del 1° Maggio nel 2011, o dalla lettura del Giuramento della Giovine Italia fatta da Roberto Saviano nello stesso 2011 a Vieni via con me, ma addirittura da Palmiro Togliatti, quando aggiungeva il tricolore al simbolo del PCI e chiedeva agli storici di ricercare nel Risorgimento le origini di una via italiana al socialismo.

    Si scopre così “l’immaginario militarista” di un inno militare, perché – è bene ricordarlo – Fratelli d’Italia è pensato per essere cantato in guerra, una guerra contro l’oppressore straniero, cosa che sembra tanto scandalizzare il prof. Montanari, ed una guerra triste, su questo ha sicuramente ragione, perché fatta con la consapevolezza dell’enorme squilibrio di forze, che giustifica l’appello a esser pronti alla morte. Quell’appello che tanto poco piaceva a Matteo Renzi da volerlo sostituire con un incongruo “siam pronti alla vita” in occasione dell’apertura dell’Expo di Milano.
    L’imperialismo nazionalista dell’Inno sarebbe del resto ben leggibile sin dalle prime righe con l’evocazione dell’elmo di Scipio, “immagine dell’eterna lotta degli italiani contro gli stranieri” e dell’“impero con cui l’Italia si identifica”. Ora, a parte che, come ben sa il prof. Montanari, con Scipione siamo ancora nel pieno della Repubblica romana e l’impero è di là da venire, quello che sembra dimenticare l’autore è che i Cartaginesi contro cui Scipione combatte sono non solo stranieri ma – soprattutto – invasori. L’Italia di Mameli cinge l’elmo di Scipio, un eroe che salva la Patria dall’invasione straniera e allo stesso tempo le istituzioni repubblicane, non quello di Cesare conquistatore e dittatore.
    Forse è anche per questo che il Risorgimento italiano è diventato un punto di riferimento per le lotte anti-imperialiste a anticoloniali del XIX e del XX secolo.

    Certo il Risorgimento fondò uno Stato nazionale, ma, oltre che all’Unità della Patria, l’imponente mole del Vittoriano è dedicata alla Libertà dei Cittadini. E come avrebbe scritto pochi decenni dopo Giuseppe Mazzini, il ‘cattivo maestro’ di Mameli e il padre ideologico dell’Inno, “la Patria sacra in oggi, sparirà forse un giorno quando ogni uomo rifletterà nella propria coscienza la legge morale dell’Umanità”. Del resto il Canto degli Italiani è uno dei pochi inni aperto alle altre nazioni, dal “sangue polacco” ricordato accanto a quello italiano, a quel voluto plurale dei “Popoli” cui “unione e l’amore” avrebbero rivelato “le vie del Signore”. La Giovine Italia nasce pensando alla Giovine Europa.
    Uno Stato nazionale modellato sulla famiglia, ma che è molto più la “patria del cuore” evocata da Mazzini che non la “nazione etnica per via di sangue” cui pensa Montanari. Certo la ‘famiglia nazionale’ è, come scriveva Manzoni, “una di sangue”, ma anche “una d’arme, di lingua, d’altare, di memorie […] e di cor”. La comunanza, etnica, linguistica, culturale, sono, per Mameli, la condizione necessaria ma non sufficiente perché ci sia una Nazione che può essere fondata solo da un ‘patto giurato’. Solo così il ‘volgo disperso’, gli italiani ‘calpesti e derisi’ potranno assurgere a dignità di Nazione. “Una famiglia – continua Montanari – rigidamente patriarcale”. E qui diventa davvero difficile seguirne il discorso per me. Come possa essere definita patriarcale una famiglia costituita da “fratelli”, come quella del nostro Inno, in cui di padri non ce ne sono da nessuna parte– al massimo una Madre(patria) – è davvero difficile da capire, almeno per chi scrive. E del resto il Risorgimento fu anche una straordinaria e consapevole rivolta generazionale.
    Montanari chiarisce che la famiglia di Fratelli d’Italia è patriarcale perché “contano, e dunque vengono menzionati, solo i maschi”, dimenticando ancora una volta che siamo di fronte a un inno di guerra e che la guerra a lungo è stata una questione da ‘maschi’. Certo il cittadino ‘vero’, dai tempi di Atene, è il cittadino in armi, e c’è voluta la Deconda guerra mondiale per mettere in discussione questo assioma condiviso dall’intera cultura repubblicana e democratica, non solo in Italia. Del resto nel Canto degli Italiani le donne c’erano, in una strofa che Mameli decise poi di stralciare in fase di revisione. E se non nell’Inno, le donne ci furono, e non poche, nel Risorgimento, da Antonietta De Pace a Cristina Trivulzio di Belgioioso, da Colomba Antonietti ad Ana Maria de Jesus Ribeiro, meglio conosciuta come Anita Garibaldi (sia detto per inciso donna e straniera).

    Come è possibile dunque, questo il cuore dell’articolo di Montanari, che “questo inno così opposto ai valori della Costituzione repubblicana” sia così centrale nella narrazione pubblica dell’Italia repubblicana e democratica?


    Se non fossi sicuro che è un testo che ben conosce potrei suggerire al prof. Montanari la lettura del Discorso sulla Costituzione di Piero Calamandrei, costruito per ampia parte proprio sul rapporto tra Risorgimento, Resistenza e Costituzione, sul dialogo tra le “grandi voci lontane” e le “umili voce recenti” e che si concludeva ricordando: “dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero perché lì è nata la nostra costituzione”. Retorica mortuaria anche questa come il Canto degli Italiani?

    https://www.ilfattoquotidiano.it/2023/02/1...tanari/7066272/
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    Corrado Augias Perché l’inno di Mameli è insostituibile



    Su Repubblica del 13 12 (2018) nella rubrica di Lettere a Corrado Augias un lettore prendendo spunto dalla esecuzione dell' inno di Mameli alla prima della Scala sosteneva di provare un certo disagio nell' ascoltare l' Innoi , sostenendo che " Parole e musica di questo simbolo confliggono in maniera decisa con il dettato costituzionale il quale nei suoi 139 articoli definisce in modo raffinato, direi anche altruista e gentile, il modello democratico voluto dai padri costituenti. Non le sembra che così stando le cose sarebbe il caso di sostituirlo con altra musica in armonia con quella Carta Costituzionale al vertice dell’ordinamento italiano?"

    La risposta di Augias , dopo una digressione sugli applausi ricevuti dal Presidente Mattarella , è stata molto netta " Quanto alla domanda contenuta nella lettera, la mia opinione è netta: no. (la lettera) ...arriva tra l’altro nel primo anniversario del Canto degli Italiani dichiarato ufficialmente inno nazionale della Repubblica il 15 dicembre 2017 con la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale. Perché no, dunque? In primo luogo, perché non è più tempo di inni. Tutti gli inni sono nati quando le rispettive nazioni erano in fase di formazione. L’inno americano celebra la difesa di una fortezza e canta con orgoglio la bandiera a stelle e strisce che: « nel pericolo della battaglia fluttua con valore sui bastioni ... e il rosseggiar dei razzi e lo scoppio delle bombe mostrano nella notte che la nostra bandiera è ancora là». Ancora di più la Marsigliese che incita a combattere quei " feroci soldati" ( i tedeschi) che intendono sgozzare i nostri figli e le nostre donne. Che il loro sangue imbeva i solchi dei nostri campi, dicono le parole. Altro che "siam pronti alla morte". Quando i capi della Lega ( Salvini tra questi) proponevano di sostituire Mameli con "Va’ pensiero", probabilmente non sapevano bene di che cosa stessero parlando dal momento che quel nobile coro descrive la condizione degli ebrei tenuti schiavi a Babilonia del crudele Nabucodonosor. Va’ pensiero, musicalmente sommo, non ha di un inno né il pathos né il ritmo. La melodia del maestro Novaro è invece debole, convengo, soprattutto nel breve passaggio strumentale che serve alla ripresa del canto però compensata dalle parole del ventenne (!) Mameli che lo scrisse poco prima di morire per la difesa di Roma laica e repubblicana. Giù il cappello.

    Con l' occasione segnaliamo la recensione del fatto quotidiano del 20 12 2018 su un saggio proprio a proposito del nostro inno nazionale

    Umberto D’Ottavio, già sindaco di Collegno (Torino) e deputato del Pd, – L’Inno di Mameli. Una storia lunga 170 anni per diventare ufficiale (Neos Edizioni, pagine, 100, euro 12) –

    FU NEL 1847 che il patriota sardo- ligure Goffredo Mameli, morto giovanissimo (non aveva ancora compiuto 22 anni) nella difesa della Repubblica Romana, scrisse le parole del canto, facendole musicare dal genovese Michele Novaro, maestro dei cori dei teatri Regio e Carignano di Torino. Lo scrittore Anton Giulio Barrili ricordò che, una sera di novembre del 1847, venne raggiunto nell’abitazione torinese del patriota Lorenzo Valerio dal pittore Ulisse Borzino. Quest’ultimo gli consegnò un componi- mento di Mameli. Novaro lo lesse, abbozzò un tema, e poi, a casa sua, compose l’inno. Il battesimo avvenne a Genova il 10 dicembre 1847, quando lo eseguirono sul piazzale del santuario della Nostra Signora di Loreto, a Oregina. A suonare fu la Filarmonica di Sestri Ponente, in occasione della celebrazione della rivolta con- tro gli austriaci di un secolo prima. Divenuto popolare durante il Risorgimento, ma messo in un angolo nell’Italia unita dall’inno sabaudo, cioè la Marcia Reale, il Canto degli Italiani poté essere l’emblema musicale della nazione, sia pure provvisorio, solo nel 1946. Il consiglio dei ministri del 12 ottobre, presieduto da Alcide De Gasperi, ne acconsentì l’utilizzo come inno nazionale della Repubblica. “Su proposta del ministro della Guerra”, venne annunciato, “si è stabilito che il giuramento delle Forze Armate alla Repubblica e al suo Capo si effettui il 4 novembre p.v. e che, provvisoriamente, si adotti come inno nazionale l’inno di Mameli”.

    E provvisorio rimase, per antico vizio italico, o italiota, fino al 2017. Restò tale, nota il professore Paolo Bianchini nel libro di D’Ottavio, “come l’esame di maturità, le case per i terremotati, i precari delle scuole pubbliche”, anche “perché nessuna componente politica aveva davvero interesse a sostenere le ragioni e, quindi, a farsi carico del suo triste stato di incompiuto”. Non solo. Dagli anni Cinquanta in avanti si è cercato di fare fuori l’inno scritto da Mameli, per sostituirlo; dalla proposte di nazionalizzare il Va’ pensiero di Verdi alla volontà di cambiarlo comunque, che vide tra gli alfieri Bettino Craxi e Umberto Bossi, fino all’ideona di Michele Serra, rammenta D’Ottavio, di rivedere il testo del povero Mameli “in italiano moderno”.

    Finalmente D’Ottavio, deputato nella XVII legislatura, si è fatto promotore della legge. Scoprendo che i suoi colleghi, in molti casi, erano del tutto ignoranti sulla precarietà del Canto degli Italiani, e che in altri, come per l’onorevole Gian Luigi Gigli (già con Scelta Civica e poi con Stefano Parisi), il Risorgimento fu operazione“mazziniano-massonica ”.“Raccogliendo le firme per presentare la legge”, racconta D’Ottavio, “ho capito che moltissimi parlamentari non sapevano che l’inno, nella sua imponenza, fosse in realtà provvisorio”.
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    L'ITALIA SENZA INNO di David Bidussa (del 2011)

    La Repubblica Italiana ufficialmente è priva di un inno nazionale.
    Com'è potuto avvenire? E soprattutto perché tutti sono convinti che lo sia? E' una storia curiosa, prima ancora che lunga, ma merita di essere raccontata.
    Quando nasce, nel dicembre 1847, con le parole di Mameli e le note di Michele Novaro, il Canto degli Italiani, più noto oggi come Fratelli d'Italia, è un testo che inneggia al riscatto. L'occasione è l'anniversario della cacciata degli austriaci da Genova nel 1746.
    Immediatamente dopo diviene il testo cantato dai democratici che chiedono lo statuto e poi dai volontari genovesi che accorrono il 19 marzo a Milano per aiutare gli insorti milanesi, sotto la guida di Carlo Cattaneo, nel cacciare gli austriaci dalla città.
    All'inizio, dunque, Fratelli d'Italia, è un testo cantato dai repubblicani. E tale rimane. E' un testo che Giuseppe Verdi giudica più adatto ad essere un inno, che non il coro de Il Nabucco (come invece pensano in molti, leghisti in testa). Chiamato a eseguire a Londra, nel 1864, in occasione dell'esposizione universale, l'inno delle nazioni, alla richiesta di inserire il Va pensiero insieme alla Marsigliese e a God Save the King nel suo Inno delle Nazioni, Verdi si rifiuta e preferisce eseguire Fratelli d'Italia che giudica degno di essre inno (ogni tanto studiare la storia non farebbe male, soprattutto eviterebbe di inventare dei miti inesistenti).

    Nella seconda metà dell'800 e oltre, Fratelli d'Italia è molto popolare, ma osteggiato dai Savoia. L'inno ufficiale del Regno è la Marcia Reale. Ma già nella guerra libica del 1911-12 le parole di Mameli sono di gran lunga quelle più diffuse fra tutti i canti patriottici. E la stessa cosa accade durante la Preima guerra mondiale . Dopo la Marcia su Roma assumono grande importanza i canti fascisti. Quelli risorgimentali sono tollerati fino al 1932, quando il segretario del partito Achille Starace vieta qualunque canto che non faccia riferimento al Duce o alla Rivoluzione fascista. In seguito, nelle cerimonie ufficiali della Repubblica Sociale, però, è intonato assieme a Giovinezza. Il governo italiano, dopo l'8 settembre, adotta come inno La leggenda del Piave. Finita la guerra, instaurata la Repubblica con il referendum del 2 giugno 1946, l'Italia si trova senza inno. Così, nella foga di averbne uno da far suonare in occasione del successivo 4 novembre, il 14 ottobre 1946, il Consiglio dei Ministri acconsente all'uso «provvisorio» di Fratelli d'Italia come inno nazionale, anche se alcuni vogliono confermare La leggenda del Piave, e altri vorrebbero Va pensiero. Quella decisione non è diventata mai definitiva.

    Il 23 gennaio 2006 è stato discusso nella Commissione affari costituzionali del Senato, su proposta del senatore Grillo presentata in data 30 gennaio 2003, un disegno di legge che prevede l'adozione di un disciplinare circa il testo, la musica e le modalità di esecuzione dell'inno Fratelli d'Italia, proposta rimasta agli atti per fine legislatura. Lo stesso anno, all'apertura della nuova legislatura, in data 18 luglio 2006, è presentata una nuova proposta a firma Grillo, Amato, e altri in cui si prevede la modifica dell'art.12 della Costituzione italiana (fino ad allora il testo dell'art.12 della Costituzione italiana, entrata in vigore il 1 gennaio 1948, recitava: "la bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni).con l'aggiunta del comma "L'inno della Repubblica è Fratelli d'Italia". Ma il provvedimento si è fermato in commissione e ancora lì si trova.

    www.cadoinpiedi.it/2011/02/26/lital..._nazionale.html
  8. .
    A-min

    Apriamo una nuova sezione raccogliendo alcuni osservazioni ed informazioni sull'inno nazionale "canto degli Italiani ", in parte già presenti su questo forum o su siti e forum amici

  9. .
    LA CRITICA DI MAZZINI A PIO IX PER IL SILLABO E LA DEFINIZIONE MAZZINIANA DI RELIGIONE

    L’ 8 dicembre 1864 papa PIO IX pubblicava l’ enciclica “quanta cura “, che efficacemente wikipedia così riassume : Quanta cura è la XXVII enciclica di papa Pio IX, che la pubblicò nel 1864 , allegandovi il ”Sillabo “degli errori moderni. Con esse venivano condannate tutte le ideologie "moderne", dal liberalismo al socialismo. Veniva inoltre esposta la critica alla Rivoluzione francese e al risorgimento italiano, facendo cenno alla libertà di pensiero illuminista come "libertà di perdere se stessi". L'enciclica affermava anche la forte critica del voler porre uno stato aconfessionale rompendo il legame tra altare e trono fino ad allora vigente.
    https://it.wikipedia.org/wiki/Quanta_cura
    qui il testo dell’enciclica
    https://moodle2.units.it/pluginfile.php/23...o%20sintesi.pdf

    Grande fu lo sconcerto all’ epoca , come riporta G.B. Guerri (Gli italiani sotto la Chiesa Oscar Mondadori 1995 pagg 196 197)
    “Il Sillabo rappresentò «la scissione del la Chiesa dal mondo, in vista di contrapporre l'assolutezza della fede alle sconfitte della storia» (Spadolini)…Il Sillabo provocò un danno immenso alla Chiesa e alla società italiana, non ultimo il blocco della cultura laica dei cattolici: non aveva più senso cercare di conciliare fede e modernità quando il papa ordinava ai credenti di tornare al passato. I cattolici, messi di fronte alla prospettiva di essere o contro la Chiesa o contro il loro tempo, la loro società, furono drammaticamente disorientati dal Sillabo: accettarlo significava isolarsi dalla vita civile…Allo stesso tempo gran parte dei laici perse ogni residua considerazione per la struttura ecclesiastica. Anche chi non era fanatizzato sulla conquista di Roma, che rispetto poteva avere per un atteggiamento così retrogrado? «Che importanza, che significato potevano avere le lamentele dei predicatori cattolici sulla corruzione del secolo, sui danni della miscredenza, sugli inganni e sulle fellonie del liberalismo, quando per le strade trionfava il carnevale liberalesco e tutti erano convinti che mai non s'era stati così bene come allora e che meglio ancora si sarebbe stati in avvenire?» (Salvemini). Chi non diventò furiosamente anticleri¬cale entrò a sua volta nel quieto limbo dei ghibellini, dove si pensa a un Dio che quasi niente ha a che fare con la Chiesa. Napoleone III, benché alleato del papa, vietò la diffusione del testo in Francia, in quanto contrario alla Costituzione .”

    Mazzini non fu estraneo a questa reazione e scrisse nelle settimane successive alla diffusione dell’ enciclica una lettera (aperta diremmo noi) : “a Pio IX Papa “estremamente critica ,

    dall’ inizio

    Voi colla vostra ultima enciclica, avventaste; l’anatema al mondo civile, al suo moto, alla vita che spira in esso^ come se mondo e moto e vita non fossero cosa di Dio. Come il naufrago, che sente l’onda salirgli alla gola, si spoglia, a tentar disperatamente salute, d'ogni cosa più essenziale al vivere normale dell’uomo, voi vi spogliaste, travolto dai tempi irrequieti d'un agonia di peccatore, senza speranza, d'ogni spirito d'amore, d'ogni senso della santità di-questa terra chiamata dal disegno provvidenziale a perfezionarsi, d'ogni concetto di-progresso definito o accennato dal Cristianesimo, d'ogni tradizione che costituì per otto secoli il diritto di vita del Papato, d'ogni cosa che fa riverita ed efficace l'Autorità. La vostra voce suona attraverso quelle sconsigliate pagine, dolore e ira; ma è il dolore arido, spirante egoismo, di chi vede assalito, minacciato, condannato il proprio potere: è l'ira abbietta dell'uomo che vorrebbe vendicarsi degli assalitori col rogo e noi può. Perduto nell'intelletto dell'Umanità, incapace di reggervi un giorno solo se non ricinto di baionette, abbandonato dal mondo, che non trova più in voi sorgente di vita, voi non sapete nè trasformarvi nè rassegnarvi. Morite'— tristissima -fra le morti — maledicendo.

    Al termine dell’invettiva

    " Come Papa, v'accusano l'impotenza di seicento anni, la diserzione da ogni precetto di' Gesù, la fornicazione coi tristi principi della terra, l'idolatria delle forme sostituita allo spirito della religione, l'immoralità fatta sistema negli uomini che vi circondane, la negazione d'ogni progresso sancita da voi medesimo Come condizione della vostra vita:
    Come re, v'accusano il sangue di Roma e l'impossibilità di rimanervi un sol giorno, se non per forza brutale.
    Riconciliatevi con Dio. Coll'Umanità non potete."


    Ma il punto più interessante per lo studio del pensione di Mazzini è quello centrale , dove , dopo aver detto che egli stesso rifugge dall’ ateismo, esplicita il concetto di religione di , come lui crede nel progresso dell’ umanità


    IL CREDO RELIGIOSO DI GIUSEPPE MAZZINI

    Noi crediamo in Dio, Intelletto e Amore, Signore ed Educatore; Autore di quanto esiste, Pensiero vivente assoluto, del quale il nostro mondo è raggio, l’Universo una incarnazione;
    Crediamo quindi in una Legge Morale, Sovrana, espressione del di lui Intelletto, e del di lui Amore;
    Crediamo in una Legge di Dovere per tutti noi, chiamati a intenderla e amarla, ossia incarnarla possibilmente negli atti nostri;
    Crediamo unica manifestazione di Dio, visibile a noi, la Vita, e in essa cerchiamo gli indizi della Legge Divina;
    Crediamo che, come uno è, Dio, così è una la Vita, una la legge della Vita attraverso la sua duplice manifestazione, nell’individuo e nell’Umanità collettiva;
    Crediamo nella Coscienza, rivelazione della Vita nell’individuo e nella Tradizione, rivelazione della Vita nell’Umanità, come nei soli due mezzi che Dio ci ha dati per intendere il di lui Disegno; e che quando la voce della Coscienza e quella della Tradizione armonizzano in una affermazione, quell’affermazione racchiude il Vero o una parte del Vero;
    Crediamo che l’una e l’altra, religiosamente interrogate, ci rivelano che la legge della Vita è PROGRESSO: Progresso indefinito in tutte le manifestazioni dell’Essere, i cui germi inerenti alla Vita stessa si sviluppano successivamente attraverso tutte le sue fasi;
    Crediamo che una essendo la Vita, una la sua Legge, lo stesso Progresso che si compie nell’Umanità collettiva e ci è rivelato via via dalla tradizione, deve egualmente compirsi nell’individuo; e siccome il Progresso indefinito, intravveduto, concepito dalla coscienza e prenunziato dalla tradizione, non può verificarsi tutto nella breve esistenza terrestre dell’individuo, crediamo che si compirà altrove: e crediamo nella continuità della vita manifestata in ciascuno di noi, e della quale l’esistenza terrena non è che un periodo.
    Crediamo che come nell’Umanità collettiva ogni concetto di miglioramento, ogni presentimento d’un più vasto e puro ideale, ogni aspirazione potente al Bene, si traduce, talora dopo secoli, in realtà, così nell’individuo; ogni intuizione di Vero, ogni aspirazione, oggi inefficace, all’Ideale e al Bene, è promessa di futuro sviluppo, germe che deve svolgersi nella serie delle esistenze che Costituiscono la Vita: crediamo che come l’Umanità collettiva conquista, inoltrando, e successivamente l’intelletto del proprio passato, così l’individuo conquisterà, inoltrando sulla via del Progresso e in proporzione all’educazione morale raggiunta, la coscienza, la memoria delle passate esistenze;
    Crediamo non solamente nel Progresso, ma nella solidarietà degli uomini in esso: crediamo che come nell’Umanità collettiva le generazioni s’inanellano alle generazioni e la Vita dell’una promove, fortifica, aiuta quella dell’altra, così gli individui s’inanellano agli individui e la vita degli uni giova, qui e altrove, alla vita degli altri; crediamo gli affetti puri, virtuosi e costanti, promessa di comunione nell’avvenire e vincolo invisibile, ma fecondo d’azione, fra trapassati e viventi;
    Crediamo che il Progresso, Legge di Dio, deve infallibilmente compirsi per tutti; ma crediamo che, dovendo noi conquistarne coscienza e meritarlo coll’opera nostra, il tempo e lo spazio ci sono lasciati da Dio come sfera di libertà, nella quale noi possiamo, accelerandolo o indugiandolo, meritare o demeritare;
    Crediamo quindi nella Libertà umana, condizione dell’umana responsabilità;
    Crediamo nell’Eguaglianza umana; cioè, che a tutti son date da Dio le facoltà e le forze necessarie a un eguale Progresso: crediamo tutti chiamati ed eletti a compirlo in tempo diverso a seconda dell’opera di ciascuno;
    Crediamo che quanto fa contrasto al Progresso, alla Libertà, all’Eguaglianza. alla Solidarietà umana è Male: Quanto giova al loro sviluppo è Bene;
    Crediamo al Dovere per noi tutti e per ciascuno di noi, di combattere senza posa, col pensiero e coll’azione, il Male, e di promovere il Bene: crediamo che a vincere il Male e promovere il Bene in ciascuno di noi, è necessario vincere il Male e promovere il Bene negli altri e per gli altri: crediamo che nessuno può conquistarsi salute, se non lavorando a salvare i propri fratelli: crediamo che l’egoismo è il segno del Male, il sacrificio quello della Virtù;
    Crediamo l’esistenza attuale gradino alla futura, la Terra il luogo di prova dove, combattendo il Male e promovendo il Bene, dobbiamo meritare di salire: crediamo dovere di tutti e di ciascuno il lavorare a santificarla, verificando in essa quanto è possibile della Legge di Dio – e desumiamo da questa fede la nostra morale;
    Crediamo che l’istinto del Progresso, insito in noi fin dal cominciamento dell’Umanità e fatto oggi tendenza dell’intelletto, è la sola rivelazione di Dio sugli uomini, rivelazione continua per tutti: crediamo che, in virtù di questa rivelazione, l’Umanità inoltra d’Epoca in Epoca, di religione in religione, sulla via del miglioramento assegnatale: crediamo che qualunque s’arroga in oggi di concentrare in sè la rivelazione e piantarsi intermediario privilegiato fra Dio e gli uomini, bestemmia: crediamo santa l’Autorità quando, consecrata dal Genio e dalla Virtù, soli sacerdoti dell’avvenire e manifestata dalla più vasta potenza di sacrificio, predica il Bene e liberamente accettata, guida visibilmente ad esso; ma crediamo dovere il combattere e scacciar dal mondo come figlia della Menzogna e madre di Tirannide ogni autorità non rivestita di quei caratteri: crediamo che Dio è Dio, e l’Umanità è il suo Profeta.
    È questa, nei sommi suoi capi, la nostra fede: in essa abbracciamo rispettosi, come stadii di progresso compito, tutte le manifestazioni religiose passate, e come sintomi e presentimenti del progresso futuro, tutte le severe e virtuose manifestazioni attuali del Pensiero: in essa sentiamo Dio padre di tutti, l’Umanità collegata tutta in comunione d’origine, di legge e di fine, la Terra santificata di gradi in gradi dall’adempimento in essa del disegno divino, l’individuo benedetto d’immortalità, di libertà, di potenza, e artefice responsabile del proprio progresso: in essa viviamo, in essa morremo: in essa amiamo e operiamo, preghiamo e speriamo.

  10. .
    il 9 giugno 2023 la sezione di Bologna dell'Associazione Mazziniana e gli Amici Museo Civico Archeologico di Bologna, Esagono , hanno promosso un seminario sulla situazione della giustizia a Bologna negli anni immediatamente successivi all' annessione al Regno di Italia

    il seminario esamina le vicende relative
    al processo Feletti, sul caso del rapimento e battesimo forzato del bambino ebreo Edgardo Mortara

    http://bimu.comune.bologna.it/biblioweb/mo...ra/il-processo/

    la vicenda è stata narrata in un recente film

    https://it.wikipedia.org/wiki/Rapito_(film)

    e a quello cd "causa lunga" contro malviventi e pretesi sovversivi

    http://nonocentenario.comune.bologna.it/18...ce%20di%20morte.

    la vicenda è riportata nel libro di Loriano Macchiavelli "la balla delle scarpe di ferro"

    riportiamo il video del seminario diviso in tre parti ai link qui sotto





  11. .
    La voce delle ombre

    di Paolo Lanzotti (Autore)
    Mondadori, 2017



    da qlibri
    https://www.qlibri.it/narrativa-italiana/g...ce-delle-ombre/

    Agosto 1849. Sotto i colpi di cannone degli austriaci, Venezia resiste eroicamente a un assedio che dura ormai da oltre un anno. Ma per la gloriosa Repubblica Veneta la disfatta è alle porte. La sente nell'aria l'ex sbirro della polizia asburgica Teodoro Valier, chiamato da Daniele Manin, l'uomo che regge le sorti della rivoluzione, a risolvere un caso di omicidio. Con la pioggia incessante di granate, la penuria di cibo e l'epidemia di colera che falcidia la popolazione, sembra quasi uno scherzo. Quando non si sa nemmeno dove seppellire i cadaveri, uno in più che differenza può fare? Purtroppo la vittima è un valoroso combattente ostile a Manin, che qualcuno potrebbe additare come mandante del delitto, e dunque s'impone di scoprire quanto prima la verità. Compito difficile per Valier: messo al bando con il sospetto infamante di essere ancora al servizio del nemico, dovrà indagare senza i crismi dell'ufficialità. Aggirarsi come un fantasma ascoltando la voce delle ombre, tra calli e campielli dove l'odore di alghe putrefatte che esala dai canali annuncia un destino ineluttabile. Perché nella città della laguna la morte non ha ancora finito di esigere il suo tributo.


    MarcoC

    Lanzotto è un prolifico e piacevole autore di generi vari. Particolarmente riuscita la trilogia sugli ultimi anni della Repubblica di Venezia (I guardiani della laguna. Venezia 1753. La prima indagine di Marco Leon. Agente dell'Inquisizione di Stato; - Le ragioni dell'ombra. Venezia 1753. Un'indagine di Marco Leon, agente dell'Inquisizione di Stato; - Le carte segrete della Serenissima) l' atmosfera dei segreti dello "stato profondo " (diremmo ai nostri tempi) della repubblica di San Marco , si ritrova anche in questo romanzo . Ne esce comunque la figura di Manin che giganteggia s tutti gli altri personaggi. Si insiste molto sulle divisioni interne alla Repubblica, pur unificate dalla voglia di resistere . Si legge piacevolmente
  12. .
    sempre sul tema del diritto di parola una riflessione, sempre da facebook , ironica nei toni ma serissima nei contenuti del prof Guidi Saraceni


    Avviso agli studenti di diritto costituzionale
    Chiunque tra di voi avesse pubblicato un post in cui afferma che il generale Vannacci ha il diritto di scrivere ciò che vuole, in ragione dell’art. 21 della Costituzione, è pregato di sostituire il vino con l’acqua, il mojito con il the e gli studi di Giurisprudenza con il corso di laurea triennale in Scienze teoriche dei giochi da spiaggia per persone intellettualmente poco dotate.
    La libertà di espressione del pensiero non è un diritto assoluto, deve essere contemperata con altri e altrettanto importanti diritti di pari rango costituzionale - come, ad esempio, la dignità altrui.
    Peraltro, la costituzione (ex art. 54) pretende espressamente “disciplina ed onore” da chi svolge una funzione pubblica.
    Sperando di essere stato chiaro, vi auguro una buona estate. E buona fortuna con l’esame di “karaoke e balli di gruppo uno” - fondamentale obbligatorio del primo anno,
    20.8.2023
  13. .


    Prendendo spunto dalle polemiche sorte intorno ad un libro autoprodotto dal generale Vannacci, in servizio (in calce alcuni link di documentazione) l'amico che chi ci segue su Novefebbraio conosce come EDERA ROSSA ha pubblicato su Fecebook una riflessione sul concetto di libertà di pensiero che vorremmo riproporre integralmente

    EVELINA, VOLTAIRE E IL GENERALE .


    Come parecchi amici sanno, quella che è quasi certamente la frase più citata di Voltaire è stata in realtà opera di Evelyn Beatrice Hall che nel suo libro di inizi novecento "Gli amici di Voltaire" pensò di sintetizzare con delle sue parole quello che a lei sembrava essere uno dei portati più importanti del pensiero del filosofo francese.
    Così sfortunata è la scrittrice inglese che anche quando vien fatto presente che non è propriamente Voltaire, che ne è semmai l'ispiratore, l'autore del famoso “non condivido la tua idea, ma mi batterò fino alla fine perché tu possa liberamente esprimerla “ , non di rado non è lei ad essere ricordata come la vera autrice, ma piuttosto lo pseudonimo maschile col quale la stessa aveva pubblicato la sua opera.
    Siccome la sfortuna quando inizia non finisce mai, nel corso del tempo la brava Evelina ha dovuto sopportare, e molti di noi con lei, anche il come l'interpretazione e l'uso della frase siano stati usati in modi che con le intenzione dell'autrice, e del suo alto ispiratore, hanno ben poco a che vedere.
    Anche in questi giorni, con la vicenda del generale Vannacci la povera Evelina deve essere rimasta piuttosto sgomenta dal modo col quale è stata tirata in ballo .
    Certamente, detto per inciso, ai tempi della pubblicazione inglese del suo libro, e per almeno un altro paio di secoli, i generali più tradizionalisti e non solo, attendevano di andare in pensione prima di scrivere le loro memorie e, pur comunque con discrezione, le loro idee sulla vita civile e politica del loro paese. Ma i nostri sono tempi strani nei quali più viene esaltata da alcuni la Tradizione ( naturalmente con la T maiuscola) e più sono disposti ad improvvisare secondo convenienza; un po come quei cattolici supertradizionalisti che, mentre si lamentano della perdita del senso della obbedienza dei fedeli, pretendono di essere loro a insegnare a dir messa al Papa.
    E così abbiamo visto apparire una ampia schiera di volterriani de noartri, ampia parte dei quali ben però attenti a non premettere quell'iniziale, e caratterizzante, “ non condivido la tua idea”perché in realtà stavano difendendo quello che avevano sempre pensato e finalmente lieti di aver trovato chi, con espressioni linguistiche da gioco delle tre carte, aveva insegnato loro come si potessero evocare certi sentimenti, senza compromettersi fino in fondo.
    Personalmente sono disposto a credere che anche l'elogio della libertà fatto da chi solitamente non ne è particolarmente amico, nei tempi lunghi possa anche tornar utile alla sua causa; ma non fingano di farlo per amore generale di libertà, come non sapessimo come la destra oggi al governo, salvo rare e isolate eccezioni, si sia comportata e si comporti in materia di libertà civili, quante volte non siano state , e sian ancora,sabotate manifestazioni espressione di pensiero non conformista con i più diversi pretesti da parte di sindaci di destra, quante opere d'arte siano state e siano censurate magari in nome della sensibilità cattolica degli italiani. .
    Ben sappiamo come certi partiti , e certe persone , non abbiano mai detto una parola contro i reati di vilipendio, non dimentichiamo neanche i tanti attacchi alla libertà di stampa, gli attacchi alle minoranze religiose , in modo particolari protestanti, cessati soltanto grazie all'azione dei partiti di sinistra laica e socialdemocratica, una volta diventati indispensabili ai governo di centrosinistra, o magari gli attacchi a un giornale umoristico francese ( al più colpevole talora di cattivo gusto) rispetto al quale veniva , non tanti anni addietro, invocata addirittura la convocazione dell'ambasciatore francese al Quirinale.
    Credo che, a leggere certi fugaci eroi della libertà di pensiero, il buon Voltaire avrebbe ben di che sorridere dei nuovi tartufi travestiti da liberali. .

    PS sulla vicenda

    www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2...363bee1a5e.html

    www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2...e6aa6a7e31.html
    www.ilgiornale.it/news/politica/le...te-2202769.html

    www.ilgazzettino.it/lettere_al_dir...ay-7595034.html

    www.vanityfair.it/article/generale...-contraddizioni

    www.micromega.net/sul-diritto-allo...idica-ed-etica/
  14. .
    2440-3-Regioni-dell-egoismo


    L’ Associazione mazziniana ha espresso severe critica al Progetto di Autonomia Differenziata attualmente (febbraio 2023) in discussione in quest’ ambito ha dato il proprio patrocinio alla presentazione a Ravenna del Libro
    “ Le Regioni dell’ egoismo”

    https://www.salviamolacostituzione.ra.it/l...da-non-perdere/

    A cura del comitato “Salviamo la Costituzione”


    Il Video della presentazione è stato pubblicato sulla pagina facebook del Comitato

    www.facebook.com/SalviamolaCostituzioneRavenna/


    Purtroppo l’ audio per buona parte della durata non è ottimo , facciamo seguire quindi una piccola guida all’ ascolto per favorire l’ individuazione dei punti salienti

    La prima relazione ( a 15:00) è dell’ autore , avv Mauro Sentimenti , giurista e collaboratore di varie riviste fra cui Micromega
    A 19:00 illustra i pericoli delle richieste delle regioni ( con differenze solo formali fra Lombardia e Veneto ed Emilia Romagna ) in tema di demanio e pieno governo di strade, ferrovie del territorio regionale e come tale richiesta collida con la competenza statale sulle infrastrutture strategiche e le connessioni fra queste e i territori
    A 26:00 ad avviso di chi scrive la parte principale dell’ intervento : una disamina sulla nascita dell’idea di autonomia differenziata a partire dalla riforma del titolo V voluta dal centro sinistra per arginare l’ ondata leghista, ma in realtà frutto della mancanza di un progetto alternativa e del conseguente tentativo di inseguire l’ avversario politico “moderandone” il progetto. In realtà si trattò dell’ abbandono della visione originaria costituzionale di autonomie cooperative e solidali , che ammette differenziazioni solo a fronte di vocazioni specifiche dei territori regionali
    A 36:00 i pericoli in merito a Sanità e istruzione anche se , ricorda il relatore, dal 2001 nessun governo ha predisposto le previste leggi quadro che avrebbero dovuto assicurare i requisisti invalicabili della attività regionale

    Purtroppo dopo questo intervento l’ audio peggiora notevolmente
    A 43: la seconda relazione , del prof Francesco Pallante , docente di diritto costituzionale a Torino che si concentra sulle richieste operate dalla regione Emilia Romagna
    Parte dalle richiesta formulate da Veneto Lombardia ed Emilia Romagna al governo Gentiloni nel febbraio 2019 consolidate nel maggio successivo con una notevole convergenza da parte dell’ ER verso forma scelta dalle altre due regioni
    A 48:00 Il relatore ricorda come nella versione costituzionale originaria l’ autonomia fosse vista come uno strumento per attuare l’ uguaglianza sostanziale dei cittadini prevista dall’ art 3 della costituzione. Permettendo invece acquisizioni di competenze differenziate da regione a regione , non connesse con specificità si venga a perdere il ruolo unificante dello stato e sostanzialmente a modificare l’ assetto costituzionale della repubblica con una procedura diversa dall’ art 138
    A 59:00 inizia un’approfondita disamina delle richieste di maggiori competenze da parte della regione Emilia Romagna senza sostanziali differenze da quanto richiesto dalle altre due ( sanità , mercato del farmaco, istruzione anche universitaria, organizzazione giudici di pace . Per quanto riguarda i musei (1:00:00 ) le richieste dell’ ER sono anche superiori . Viene toccato anche il fisco (1:04:00) proponendo tra l’altro un meccanismo che metterebbe le tre regioni a riparo da calo dlle entrate a detrimento dele altre .

    A 1:17:00 la relazioni di Grazia Maria Pistorino , dirigente di CGIL scuola incentrata sull’ impegno del sindacato

    A 1:43:00 gli interventi dal pubblico ad iniziare da un breve saluto dell’ AMI
  15. .
    o





    Oggi 9 maggio 2022 festa dell' Europa vorremmo proporre una riflessione su cosa significa un Europa in cui ogni stato va per conto suo

    L' Associazione mazziniana di Cervia , in collaborazione con la struttura nazionale e regionale ha promosso un seminario sui costi della non europa , la relazione principale del prof Emanuele Felice . Qui sotto il link alla registrazione su Facebook.

    Oltre agli esempi riportati nell'incontro vorremmo farne uno solo in apparenza minore

    Il presidente Draghi in aprile ha concluso con l' Algeria un positivo accordo per la fornitura di gas. Quello che i mass media italiani non hanno riportato è che il gas fornito all' Italia forse andrà a detrimento della Spagna .
    Per comprenderlo dobbiamo far mente locale ad un conflitto pluridecennale , che a noi appare lontano , ma che destabilizza un area ,il Magreb, per così dire nel giardino di casa dell' Europa : a metà degli anni 70 la Spagna abbandonò la sua colonia nel Sahara che fu occupata dal Marocco (e per qualche anno dalla Mauritania). Gran parte della popolazione di quel territorio , ricco di fosfaati e importante per la pesca, aspira invece per l' indipendenza e il fronte indipendentista (Polisario) si oppone all' annessione al Regno marocchino. Il Polisario è appoggiato dall' Algeria , e trovava simpatie in Spagna e Italia , mentre la Francia è a fianco del Marocco . Ultimamente la Spagna in occasione di un accordo con Rabat in tema di traffico di merci e persone ( ricordiamo che sui controlli contro l'immigrazione clandestina c'erano stati contrasti fra i due paesi ) si è avvicinata alle posizioni marocchine anche sul Saharawi , l' Algeria ha reagito preferendo l' Itlaia sulle forniture di gas .
    Al di là della drammatica situazione Saharawi possiamo trarre una conclusione : su tre importanti questioni immigrazione, stabilità del Magreb, forniture energetiche non solo l' Europa non è presente come soggetto unitario, ma anche i tre paesi più direttamente interessati all' area (Spagna, Francia, Italia) hanno agito ciascuno per conto suo . Apporto non effimero alla soluzione di quei problemi ? Somma Uguale a Zero

    a seguire link sulla vicenda Ispano, Italo Algerina e ad un intervento sulla 7 sui costi della non Europa





    www.facebook.com/watch/live/?ref=w...368304525255820

    https://it.wikipedia.org/wiki/Sahrawi


    www.ansamed.info/ansamed/it/notizi...994fa3dcea.html

    www.ansamed.info/ansamed/it/notizi...6f72269088.html



    Edited by lucrezio52 - 9/5/2022, 17:36
489 replies since 14/9/2009
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